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La Storia attraverso la biografia: l’esempio di Andrea Costa (PRIMA PARTE)

Barricate della Comune di Parigi
Barricate della Comune di Parigi. Immagine reperibile a questa URL

Secondo Marc Bloch (1886-1944), uno dei maggiori storici del XX secolo, la storia è divertente ed è in grado di offrire godimenti estetici che le sono propri. Oggetto della storia, infatti, sono gli uomini e le loro attività, e lo studio dell’uomo è ciò che sopra ogni cosa seduce l’immaginazione e suscita interesse: il bravo storico somiglia così all’orco delle fiabe – egli sa che là dove fiuta vicende umane, là è la sua preda.
Ancorare lo studio di eventi e concetti alla vita di personaggi significativi, rappresentativi del contesto storico, significa presentare un osservatorio privilegiato agli studenti, che consente loro di contestualizzare e comprendere meglio quanto studiato, rendendoli nel contempo depositari di un sapere che ai loro occhi è elitario, e quindi più stimolante.
Una biografia può riuscire ad esprimere il rapporto fra individuale e generale che è centrale nella storia e al contempo può coinvolgere e appassionare come una narrazione.

Un esempio svolto: la vita di Andrea Costa
Il docente ha il solo imbarazzo della scelta nel pescare fra la sterminata galleria di personaggi significativi che la storia ci offre. In questo articolo si è scelto di mettere a tema e sviluppare la biografia del primo deputato socialista italiano: Andrea Costa (1851-1910).

Attraverso la vita di Costa, non solo potremo ricostruire

“l’autobiografia del socialismo italiano” (cit. N. Galassi, Vita di Andrea Costa, Feltrinelli, 1989)

da forza anti-sistema a partito politico parlamentare, ma saremo anche in grado di ripercorrere le vicende della storia italiana (e in parte anche europea) di quegli anni.
Saremo proiettati nel contesto di una realtà italiana di provincia, negli anni immediatamente successivi all’Unità, e vivremo attraverso gli occhi di un ventenne l’evolversi della situazione sociale e politica. Con lui potremo emozionarci immaginando la bandiera rossa della Comune che sventola a Parigi e valutare i diversi atteggiamenti assunti a riguardo da Garibaldi e Mazzini. Assisteremo agli attriti interni alla Prima Internazionale fra Marx e Bakunin e ai tentativi di insurrezione falliti in Italia, ci interrogheremo sulle prospettive del socialismo italiano e sulle possibili vie percorribili per la sua affermazione. Entreremo, con Costa trentenne, in un Parlamento nel quale si sta formando un grande centro, dovremo valutare le posizioni da assumere per mantenere l’intransigenza sul piano dei principi senza rimanere isolati. Saremo chiamati ad esprimere un’opinione su temi di politica estera, come la Triplice Alleanza e il colonialismo italiano, e di politica interna, come l’allargamento del suffragio e le amministrazioni locali. Dovremo poi sempre confrontarci con il contesto politico europeo, con la nascita dell’SPD in Germania e con le questioni legate al sorgere della Seconda Internazionale. Assisteremo, infine, al processo che porta alla nascita del PSI, analizzandone le modalità di costituzione.

Il percorso si presta anche a proporre riflessioni su questioni strettamente legate all’esercizio della democrazia, che possono essere utili per sviluppare competenze di cittadinanza: si potranno fare approfondimenti sul sistema partitico, sui sistemi elettorali, sulle alleanze e sui gruppi parlamentari. In questo modo gli studenti potranno acquisire un lessico adeguato che li metta in condizione di comprendere meglio anche il contesto sociale e politico contemporaneo.

L’Italia di provincia a metà Ottocento
Andrea Costa nasce nel 1851 ad Imola, una città che al momento dell’annessione al Regno d’Italia presenta le condizioni di stagnazione economica che caratterizzano la Romagna di quegli anni, nella quale è saldo il predominio dell’aristocrazia e del clero. La classe dirigente è costituita ancora da famiglie nobili locali di origine medievale o tardomedievale. Queste famiglie devono la loro ricchezza alla grande concentrazione di proprietà nelle mani loro, all’incremento degli oneri sui mezzadri, ai privilegi fiscali di cui ancora godevano e soprattutto a una mala gestione della riscossione delle tasse, attività di cui queste famiglie erano incaricate. Accanto a queste antiche famiglie, nella Imola di metà Ottocento troviamo le famiglie borghesi. Anch’esse avevano la tendenza ad accentrare proprietà fondiarie, principalmente attraverso l’acquisto – a prezzi stracciati – dei terreni espropriati agli istituti ecclesiastici per decreto della Repubblica Cisalpina. Queste classi abbienti, che ormai possedevano la maggior parte dei terreni della zona, avevano una visione prettamente conservatrice. Agli investiti per il rinnovamento delle tecniche agrarie, preferirono continuare con il rodato e secolare sistema mezzadrile.
I coloni vedono aumentare la loro povertà, e contemporaneamente sono costretti a indebitarsi. I braccianti, per lavorare, sono costretti a spostarsi nelle risaie del Ferrarese e del basso Bolognese: essi sono descritti dai giornali come

“povera gente vagante a sciame per la campagna, scacciata dappertutto”

Nelle campagne si diffondono i furti e sono endogeni vagabondaggio e brigantaggio. L’alimentazione insufficiente espone le famiglie rurali al rischio di contrarre malattie come pellagra, scorbuto e polmoniti. La popolazione delle campagne è in generale estromessa dalla vita sociale: l’unico elemento di socialità è rappresentato dalla Chiesa, mentre i rapporti diretti con lo Stato si limitano alla fiscalità, alla leva militare e al controllo poliziesco. La vita in città, la cui ossatura economica è rappresentata dal piccolo artigianato, è meno dura che in campagna, nonostante la diffusa indigenza.

L’annessione allo Stato unitario non trasforma nella sostanza l’ordine sociale: persistono le dinamiche di indebitamento e si fa sempre più profonda la scissione fra chi ha un lavoro stabile e chi vive nella precarietà più assoluta. È in questo contesto che si forma Andrea Costa: i ceti urbani erano delusi dalle mancate trasformazioni economiche che si sperava avrebbe portato il Risorgimento e il malessere contadino non trovava espressione in nessuna organizzazione politica. Anche il movimento mazziniano, nel suo programma di unità nazionale, aveva trascurato questione sociale ed agraria. Sarà Bakunin il primo ad occuparsi, in Italia, delle masse agricole (in particolare di quelle del Mezzogiorno). Mazzini, secondo Bakunin, non si era mai veramente preoccupato dei contadini italiani. Bakunin riporta uno stralcio di una lettera ricevuta da Mazzini:

“Per ora non vi è nulla da fare nelle campagne; la rivoluzione dovrà farsi prima esclusivamente nelle città; poi, quando l’avremo fatta, ci occuperemo delle campagne”. M. Bakunin, Il socialismo e Mazzini, 5a ed, 1910.

Un vento nuovo dalla Francia
Qualcosa cambia nel 1871: a Parigi viene issata la bandiera rossa della Comune. L’evento suscita in Italia – come in tutta Europa – un’ostilità violenta da parte della stampa conservatrice, liberale e in parte anche democratica, prodotta da un’istintiva paura per quel primo esperimento di governo proletario e alimentata dalla propaganda del governo controrivoluzionario di Thiers.

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Manifesto di propaganda della Comune di Parigi

Ma l’eco della Comune si sparge per tutta Europa, Romagna inclusa, e accende gli animi di molti giovani insofferenti delle proprie condizioni sociali.  A Bologna, ad esempio, a testimonianza della simpatia dei circoli democratici nei confronti degli insorti francesi, vengono organizzate dimostrazioni pubbliche e comitati per soccorrere i reduci.

L’insurrezione di Parigi fa rinascere una grande attenzione ai temi sociali e comincia a diffondersi il convincimento che l’Internazionale, nata nel 1864 e inneggiata da Garibaldi, stesse realmente creando le basi per un evento insurrezionale.

Garibaldi, infatti, è uno tra i pochi, tra le grandi figure non socialiste d’Europa, che va controcorrente nell’imperversare della reazione anti-comunarda e che palesa l’ammirazione per la prova d’energia e coraggio data dal popolo di Parigi, guardando solo alle grandi linee del movimento. (cfr. N. Rosselli, Mazzini e Bakunin, Einaudi, 1967)

A differenza di Garibaldi, Mazzini si schiera subito fra i nemici della Comune. La sua scomunica è inflessibile perché è forte la sua fedeltà a principi politici, morali e sociali in antitesi con l’azione dei Comunardi (N. Rosselli, cit., pp.244-245). Il giudizio di Mazzini è molto netto e negativo anche sull’Internazionale, della quale critica il materialismo, la negazione di Dio, della patria e della proprietà privata (N. Rosselli, cit., pp. 274-275). In una lettera dell’11 marzo Mazzini 1870 scrive

“Che cosa diavolo si intenda per una rivoluzione socialista, io non so. Se hanno modo, la facciano. Io mi contento di farne una repubblicana…Non ne parliamo più. Questo pretendere di far tutto, per astenersi dal far qualcosa, mi stomaca”. N. Rosselli, cit., p.237.

Costa è convinto che Mazzini in questo modo si aliena la parte “più calda e generosa” della gioventù (cfr. N. Rosselli, cit., p.252). Lo stesso Costa, qualche anno più tardi, dirà degli eventi della Comune di Parigi:

“Fu sul cadavere della Comune, feconda nelle sue rovine, che si impegnò la lotta fra lo spirito vecchio e il nuovo; è dal sangue dei trucidati comunardi che si trassero gli auspici. Ricordate, o compagni, il ’71 e il ’72? Come aspettavamo trepidanti le nuove da Parigi! Come cercavamo gli statuti di questa Associazione Internazionale!”

La spinta anarchica e il movimento socialista
Una parte di questa gioventù in fermento si riconosce nelle posizioni garibaldine, ma un’altra è alla ricerca di un paradigma di pensiero più sistematico e radicale, che trova nell’anarchismo del russo Michail Bakunin (1814-1876), le cui tesi sono in parte diverse da quelle marxiste. Bakunin sostiene che le strutture sociali esistenti in paesi come l’Italia, la Spagna e la Russia, a causa dell’impopolarità dei loro apparati statali e degli irrisolti problemi agrari, ne rendono le popolazioni impoverite più inclini alle ribellioni spontanee, di loro natura anarchiche, rispetto alle classi lavoratrici dei paesi più industrializzati, a suo parere in parte imborghesite. Non a caso l’anarchismo si diffonde in quegli anni nei ceti che erano rimasti estranei allo sviluppo industriale moderno.

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Michail Bakunin

A diciannove anni, Costa aderisce alla sezione imolese dell’Internazionale. Non si può sapere con certezza se la sua propensione iniziale fosse marxista o bakuniniana (la divergenza fra le due tendenze non si era ancora del tutto manifestata), anche se gli sviluppi successivi fanno supporre che in lui stesse già mettendo radice l’ideale anarchico. Del resto più tardi Costa scriverà

“Operai! Lavoratori! Solo operai? Solo lavoratori? Il nostro problema era umano!” .

I primi anni ’70 sono quelli nei quali la sua attività politica si fa più intensa. Cerca di iscriversi alla facoltà di Lettere, ma l’amministrazione comunale di Imola gli nega il sussidio per frequentare corsi regolari. Non sortisce alcun effetto l’aver inserito nella domanda una dichiarazione in cui Carducci afferma

“Il sottoscritto, professore di letteratura italiana in questa università, attesta che il signor Andrea costa frequentò nello scorso anno accademico 1870-71 e frequenta in questo principio del corrente anno le sue lezioni con diligenza, e piglia parte alle ripetizioni e agli esercizi di interpretazione e di stile con moltissimo studio e con evidente profitto”. L. Lipparini, Andrea Costa, Longanesi, Milano, 1952, pp.47-48

A Costa quindi non resta che iscriversi come studente “libero”, nonostante Carducci lo annoveri fra i suoi migliori allievi. Quegli erano gli anni in cui Carducci

 “riaffermava in Satana la forza della ragione nel mito della grande Rivoluzione e l’idea della ribellione dei Sanculotti francesi”. (cit. N. Galassi, Vita di Andrea Costa, Feltrinelli, 1989)

Il primo manoscritto di Andrea Costa, Collettivismo, Ateismo e Anarchia, si chiude con versi carducciani inneggianti alla libertà ed è una vera e propria sfida alla società borghese, espressa in termini

“esplosivi e vibranti, ma anche enfatici” (cit. N. Galassi, Vita di Andrea Costa, Feltrinelli, 1989)

Dal 1872 Costa è il primo segretario della Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori e si dedica alla propaganda e ad organizzazioni di tipo cospirativo. Nel 1873 Costa partecipa al VI Congresso (bakuninista) dell’Internazionale e si oppone con forza alle tendenze operaistiche in essa presenti, secondo le quali a guidare la Rivoluzione avrebbero dovuto essere soltanto gli operai. Secondo Andrea Costa, non dovevano esserci “distinzioni classistiche”, ma tutte le classi più povere e disagiate (contadini compresi) erano chiamate a dare il proprio essenziale contributo.

Nel 1874, anno di grave crisi economica e di agitazioni popolari (in particolare contro la tassa sul macinato) viene prescelto dagli internazionalisti italiani per l’attuazione di un tentativo insurrezionale al quale avrebbe dovuto partecipare anche Bakunin. Il tentativo, al pari di altre sommosse spontanee scoppiate in vari punti della penisola, fallisce a causa della scarsa organizzazione, dello scarso appoggio popolare, del rigoroso controllo poliziesco. La polizia è in allarme in particolare per le notizie riguardanti la Romagna, la Toscana, le Marche e il Napoletano, dove il prefetto segnala che

“la propaganda rivoluzionaria è fatta in mezzo al basso popolo con efficacia superiore all’aspettativa”.

Il governo Minghetti era preoccupato soprattutto per una possibile convergenza fra internazionalisti e repubblicani. Bakunin riesce a dileguarsi, ma molti militanti, fra cui Costa, vengono arrestati. Le persecuzioni poliziesche sembrano portare alla paralisi del movimento internazionalista, che invece ne esce rafforzato e legittimato. Dopo un processo durato due anni, infatti, nel 1876 Costa e i suoi compagni vengono assolti. Un discorso dell’imputato Costa viene pubblicato su diversi giornali e, a sorpresa, a favore degli internazionalisti testimonia anche una figura di spicco come Giosuè Carducci, che contribuisce a suscitare nell’opinione pubblica un forte moto di simpatia nei loro confronti.  Durante il processo, le parole di Costa sono energiche:

“Io poi non mi sono mai creduto, né mi credo un grand’uomo, ma non cambierei il mio duro sedile di accusato con la poltrona di Procuratore generale”. (cit. Processo degli internazionalisti. Parole di A. Costa ai giurati della Corte d’Assise di Bologna nell’udienza del 16 giugno 1876, Bologna 1876. Riprodotto in Autodifesa di militanti operai e democratici italiani davanti ai tribunali, a cura di Stefano Merli, Milano-Roma, 1958)

Pure un giovanissimo Giovanni Pascoli, allievo di Carducci, subisce il fascino di Costa al punto che, nonostante il suo carattere schivo, parteciperà al congresso della federazione emiliano-romagnola del ’76 . La sentenza di assoluzione, visto anche l’andamento del processo, risuona come una pubblica riprovazione della politica governativa. Nello stesso anno, inoltre, cade il governo di Destra, e sembrano aprirsi spiragli positivi per Costa e il suo movimento.

Tuttavia nel 1877, un gruppo di anarchici campani (la cosiddetta Banda del Matese) organizza un moto anarchico a San Lupo:

fu dichiarato decaduto il re Vittorio Emanuele II, proclamata la rivoluzione sociale, bruciati i documenti dell’archi­vio dello stato civile, manipolati i conta­tori dei mulini con l’intento di non far pagare la tassa sul macinato e issate le bandiere rosse e nere dell’anarchismo. (cit. A. Agrippa, L’insurrezione anarchica dalla cosiddetta «banda del Ma­tese», Correre del Mezzogiorno, 3 agosto 2009)

Presto scoppiano i primi scontri a fuoco con i Carabinieri, che hanno facilmente la meglio  e incarcerano i rivoltosi. Andrea Costa non dà alcun segno di disapprovazione pubblica del moto insurrezionale anarchico e preferisce fuggire all’estero.

 

Fine della prima parte. Se vuoi leggere la seconda parte dell’articolo clicca qui

Autore: Arianna Sardella
Revisione e cura: Alessandro Ardigò, Valentino Valitutti

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