DALL’ANARCHIA AL SOCIALISMO
Come detto in chiusura alla PRIMA PARTE di questo articolo, nel 1877 Andrea Costa fugge in Francia. Lì, nel giro di un biennio, Costa stringe forti legami con gli ambienti socialisti:
L’evoluzione politica e culturale di Costa presenta, in questo periodo francese, aspetti complessi: le sollecitazioni provenienti da vari settori, fra i quali quello marxista e socialdemocratico, si sommano senza rimuoverle alle concezioni precedenti, legate all’esperienza della provincia italiana. (Cit. N. Galassi, Vita di Andrea Costa, Feltrinelli, 1989)
In Francia, Costa frequenta la rivoluzionaria russa Anna Kuliscioff alla quale rimane legato per quasi dieci anni e dalla quale avrà anche una figlia. La relazione però si interrompe e la Kuliscioff diventerà compagna di Filippo Turati.
L’influsso degli ambienti francesi è determinante, tanto che nel 1879 Costa si distacca dal pensiero anarchico-insurrezionale e abbraccia quello socialista. Sulla rivista La Plebe Costa pubblica la lettera “Ai miei amici di Romagna”, in cui annuncia questo distacco. La Plebe, diretta da Enrico Bignami, era un giornale che si definiva “repubblicano, razionalista, socialista” e il cui fondatore era considerato da Marx ed Engels fra i pochi italiani a loro vicini.
La lettera “Ai miei amici di Romagna” inaugura una nuova fase anche nella storia del socialismo italiano: Costa opera un taglio netto con i tentativi insurrezionali di cui ormai percepiva i limiti e insiste sull’importanza del “radicamento nel popolo”, auspicando una nuova dislocazione delle forze socialiste italiane. In poche parole, Costa fa un appello affinché si costruisca un partito socialista nuovo, che privilegi una linea possibilista e che quindi sia disposto all’impiego di tutti i mezzi, compresi quelli legali. Costa immagina un partito che possa armonizzare tutte le varie tendenze e far capire al proletariato che si possono strappare le riforme senza per questo dover accodarsi alla politica borghese, bensì partecipando all’azione socialista. Costa apre quindi all’idea di lotta attraverso conquiste parziali come mezzo efficace per quella rivoluzione che avrebbe dovuto trasferire gli strumenti di produzione nelle mani dei produttori.




Dentro le amministrazioni pubbliche
Il passo successivo fu l’affermazione esplicita che i socialisti non devono limitarsi a prendere parte alle lotte politiche, ma anche entrare nelle amministrazioni. Costa auspica la conquista dei comuni attraverso la partecipazione alle elezioni amministrative:
La gestione dei comuni doveva essere il perno attorno al quale far ruotare tutte le iniziative di natura socialista, come la concessione in forma collettiva ai contadini delle terre comunali, il rafforzamento economico e sociale del movimento operaio e l’affidamento dei lavori comunali alle associazioni di mestiere. (Cit. N. Galassi, Vita di Andrea Costa, Feltrinelli, 1989. Nello stesso testo, a p. 281, si legge: “La primogenitura della conquista dei comuni, come parola d’ordine programmatica nella storia del movimento operaio italiano, è pertanto da attribuirsi al PSSR e ad Andrea Costa.”)
Ma il programma di Costa è più vasto: già da subito non si limita alle realtà locali ma, con respiro nazionale, si pone come obiettivo l’ingresso nel Parlamento. Costa elabora un programma minimo nazionale che prevedeva: il suffragio universale, maggiori libertà politiche, fissazione di una giornata normale di lavoro, diritto di sciopero, tutela del lavoro di donne e bambini, abolizione della tassa sul macinato, cessione delle terre incolte dei comuni ai cittadini, ecc. (Cfr. R. Zangheri, Storia del socialismo italiano).




Molte però furono le critiche rivolte ad Andrea Costa, critiche che vennero soprattutto da diversi settori dell’anarchismo italiano. Gli anarchici napoletani diranno:
“Se è questo che ci si chiede, che noi diventiamo dei socialisti moderati, dei socialisti governativi, dei socialisti legalitari, allora sarebbe un rinnegare i nostri principi, sarebbe un disertare”
Verso la fondazione di un partito
Le linee programmatiche di Andrea Costa sono alla base della nascita del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che per diverso tempo sarà l’unica organizzazione socialista italiana di una certa consistenza. Nel luglio 1881, infatti, si tiene un congresso a Rimini, nel quale si approva a grande maggioranza (solo due voti contrari) la costituzione del nuovo partito, che con una maggioranza di 32 voti contro 6 (favorevoli al nome di Federazione Anarchica) si chiama, appunto, Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna. (Cfr. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Vol. VI, Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio, Feltrinelli, 1970). La sostituzione, nel nome, dell’aggettivo “anarchico”, proposto da alcuni, con quello di “rivoluzionario”, è frutto di una mozione che vede Costa vincente.
Non sembra ancora praticabile, però, la via per la creazione di un partito nazionale: a Milano da un lato i radicali e dall’altro gli operaisti, fortemente classisti, tolgono spazio all’iniziativa socialista e in altre regioni, come la Toscana, la nuova linea stenta ad essere accolta.
Sul giornale La Plebe del 15 maggio 1881, Costa risponde alle accuse degli anarchici, che lo tacciano di essersi fatto paladino del legalitarismo. Nel programma del Partito non Costa non nega la necessità di ricorrere alla via rivoluzionaria, ma afferma che la preparazione ad essa
“avrà da principio un aspetto pacifico e legale”, che si dovrà “necessariamente partire da quelle riforme, o tentativi di riforme, che si propongono di trasformare i particolari congegni dell’attuale società”.
Le elezioni del 1882
Nel frattempo arriva l’anno 1882 e con esso le elezioni. Le elezioni del 1882 sono le prime successive alla riforma elettorale, cavallo di battaglia della Sinistra, che allarga in modo consistente il numero degli aventi diritto al voto (anche siamo peraltro ancora lontani dal suffragio universale). Per la prima volta il diritto di voto è svincolato dal criterio censitario: viene allargato ai cittadini di sesso maschile che abbiano compiuto 21 anni (prima erano 25) e che sappiano leggere e scrivere (per provarlo si devono aver compiuti almeno i due anni del corso elementare obbligatorio o disporre di una attestazione notarile di alfabetismo), o in alternativa che paghino un’imposta diretta di almeno 19,80 lire (invece delle precedenti 40). Il requisito fondamentale non è più quindi il censo, ma la capacità. Il numero degli elettori passa da 621.896 a 2.112.563, il 25 per cento dei maschi maggiorenni, il 7,39 per cento degli abitanti (in Francia era il 26,90 nel 1877). La legge modifica anche il meccanismo elettorale: dal collegio uninominale si passa al collegio plurinominale con scrutinio di lista e successivo ballottaggio. Ciò avrebbe dovuto ridurre considerevolmente i fattori personali della competizione, che tanto avevano favorito i candidati liberali, e quindi rafforzato la contrapposizione politica.
Questa riforma ha influito in misura notevole sull’ampliamento delle basi democratiche dello stato, in particolare in quelle aree in cui operavano strutture associative di massa. E’ il caso della Romagna. La nuova legge pone quindi i socialisti di fronte ad una scelta che non può più essere rinviata, ma le resistenze a gettarsi nella campagna elettorale sono ancora forti. Nel febbraio 1882 i socialisti romagnoli decidono di partecipare alle elezioni, ma
“con fini esclusivi di propaganda e di agitazione” (Cfr. N. Galassi, cit.)
L’atmosfera politica nazionale e regionale spinge però a cogliere l’occasione di uno scontro con la destra e con la sinistra moderata e trasformista. In un discorso tenuto a Stradella lo stesso anno Depretis risponde a chi critica gli accordi da lui stipulati con la destra moderata di Minghetti con una frase diventata celebre:
“Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?” (Cit. G. Candeloro, cit.)




L’apertura del suffragio a nuovi strati della popolazione va di pari passo con lo sviluppo di una coscienza e di un peso nazionale dei movimenti sociali. La campagna elettorale è condotta soprattutto a voce, in incontri e assemblee, ma anche la stampa socialista intensifica le pubblicazioni. Costa, candidato a Ravenna e ad Imola, risulta eletto a Ravenna con il 48 per cento delle preferenze. Nonostante solo pochi mesi prima avesse dichiarato che i socialisti non si sarebbero dovuti prestare “all’indegna commedia del giuramento” per entrare in Parlamento, Costa giura. I giorni della campagna elettorale, durante i quali i socialisti avevano preso contatto con larghi strati popolari e avevano collaborato con repubblicani e radicali superando le vecchie ostilità, hanno lasciato un segno. E’ ormai condivisa la convinzione dell’utilità della presenza di una voce socialista in parlamento.
Andrea Costa diviene il primo parlamentare socialista
Costa si trova, quindi, primo socialista, ad entrare in un parlamento in cui, allo scopo di isolare cattolici ed estremisti, si assiste ad una convergenza fra le forze moderate (Cfr. G. Sabbatucci, Il trasformismo come sistema, Laterza, Roma-Bari, 2003). I timori suscitati dall’allargamento del suffragio, e quindi anche del probabile rafforzamento dell’estrema sinistra, portano Depretis e Minghetti ad un accordo, che prende il nome di trasformismo, che porta all’affievolirsi delle distinzioni ideologiche e alla nascita di un grande centro. La maggioranza viene “costruita” giorno per giorno su singole questioni, mediante compromessi e accordi fra i singoli parlamentari.
In questo contesto, l’attività parlamentare di Andrea Costa improntata all’intransigenza sul piano dei principi (il che gli costa, fra un’elezione e l’altra, numerosi arresti e periodi d’esilio) ma anche alla ricerca di un’alleanza, molto contestata, con la sinistra “borghese” per l’attuazione di una legislazione sociale in Italia. Costa deve imparare ad osservare un regolamento severo e ad usare un linguaggio controllato, nonché ad adeguarsi alla logica dei gruppi, per non farsi isolare e rimanere del tutto inascoltato. Aderisce quindi al gruppo parlamentare dell’Estrema (Sinistra) del quale fanno parte anche deputati radicali e repubblicani, prima di fondare, nell’agosto del 1883, con Bovio e Cavallotti, il Fascio della democrazia. Il rischio, però, era che all’interno del Fascio il PSRR potesse perdere la propria identità, diventando una qualsiasi corrente democratica. Costa giustifica la propria adesione spiegando come quella fosse l’unica possibilità per dare respiro alla sua azione politica, per creare un’alternativa al trasformismo del governo.
Anche se le cooperative di lavoratori non avevano trovato posto nella visione del giovane Costa bakuniniano, a partire dal 1883 Costa si adopererà a facilitare lo sviluppo e l’espansione, in tutta la Regione, di cooperative bracciantili: la cooperazione, anche se incapace di sostituirsi da sola al capitalismo, è nel suo pensiero resistenza, strumento per ovviare gli effetti dell’espansione capitalistica, scuola di educazione e strumento di lotta socialista.




Costa contro il colonialismo
Probabilmente però l’eredità più importante lasciata dall’attività parlamentare di Costa è legata alla forte opposizione alle conquiste coloniali italiane, rilevante anche ai fini del successivo sviluppo del socialismo italiano. Dopo la disfatta militare inferta ad una colonna italiana a Dogali da ras Alula all’inizio del 1887, Costa dirà:
“Il nostro grido è lo stesso di due anni fa. Noi vi diciamo oggi come allora: cessate da queste imprese pazze e criminose; richiamate le nostre truppe dall’Africa (…) Per continuare nelle pazzie africane, noi non vi daremo, ripeto, né un uomo né un soldo” (Cit. Discorsi parlamentari di Andrea Costa, tornata del 3 febbraio 1887)




Il giudizio fortemente critico sulla guerra di aggressione, concepita come il risultato della spartizione del mondo fra le nazioni più industrializzate e come estensione dei loro mercati, era stato fin dalle origini, anche nel pensiero dei primi ideologi dell’internazionalismo, uno degli elementi di fondo. Ciò portava all’aspirazione dell’abolizione delle guerre come mezzo per risolvere i contrasti fra le nazioni, degli eserciti e infine delle frontiere. Il concetto stesso di patria per Andrea Costa, che non farà mai alcuna concessione al nazionalismo, si identifica nel riconoscimento e nella partecipazione a questa lotta.
Queste convinzioni non possono che manifestarsi in modo esplicito nelle sue posizioni sui punti nodali della politica estera italiana, in particolare nei confronti della Triplice Alleanza (firmata per iniziativa prevalentemente italiana il 20 maggio 1882 con Austria e Germania) e contro l’iniziativa colonialista di ogni potenza. La sua voce è stata quella di una condanna di principio e inappellabile dell’aggressione di un popolo ad un altro popolo in un momento in cui larghi starti delle masse popolari sono toccati dalla retorica del colonialismo italiano.
Di nuovo l’impegno in Romagna
Dopo l’elezione del 1882, tuttavia, l’impegno di Costa non si esaurisce nell’attività parlamentare ma è anche volto alla promozione, in Romagna, di un’agitazione che congiunge la richiesta di una maggiore autonomia comunale alla rivendicazione di una legge comunale e provinciale che allargasse ulteriormente il suffragio ai ceti popolari. L’allargamento del voto concesso dal governo Depretis nel 1882 riguardava infatti soltanto le elezioni politiche, mentre quelle amministrative erano rimaste appannaggio delle oligarchie moderate, con elezioni parziali che prevedevano un rinnovo dei consiglieri che man mano venivano a scadere e un elettorato reale oscillante fra l’1 e l’1,5 per cento della popolazione. L’agitazione (il cui motto, coniato da Costa stesso, è “impadroniamoci dei comuni”) si estende presto a diverse città della Romagna. L’obiettivo è quello di migliorare le condizioni delle classi popolari: non ha quindi un’impronta anarco-comunarda. Sarà il primo governo Crispi, nel 1888, a varare la legge comunale e provinciale che equipara l’elettorato amministrativo a quello politico: pur criticata da Costa per l’istituzione di un nuovo organo di controllo (la Giunta provinciale amministrativa) che, essendo in mano ai prefetti, limita l’auspicato autogoverno, la nuova legge consente ai socialisti di accedere a qualche comune.
Le agitazioni di fine secolo
Gli anni fra il 1887 e il 1894 vedono in Italia l’inasprirsi di una gravissima crisi economica e politica, aggravata dall’inserirsi di una crisi edilizia su quella agraria già in atto da più di un quinquennio e dalle conseguenze della guerra doganale e commerciale con la Francia. Dal settore edilizio la crisi presto si estende all’intero sistema produttivo, coinvolgendo le grandi banche che si erano esposte nelle speculazioni: il fallimento della Banca romana e lo scandalo politico e parlamentare da questo conseguenti, che portano alle dimissioni del primo governo Giolitti.




Nel 1889, anno in cui si celebra il centenario della Rivoluzione francese, in Italia vengono organizzate manifestazioni di giovani e di esponenti di categorie esasperate dalla disoccupazione, in un clima carico di attese risolutrici reso sempre più teso dal perdurare della crisi economica che fra il 1887 e il 1894 investe il Paese.
L’attenzione politica si focalizza sull’esposizione universale di Parigi e su due grandi congressi operai internazionali:
Il primo, rappresentato prevalentemente da francesi, è costituito da un gruppo più nutrito perché appoggiato dalle camere sindacali francesi. Il secondo è formato da rappresentanti di un numero assai maggiore di nazionalità, cioè di tutti i partiti socialisti d’Europa e d’America. (Cfr. N. Galassi, cit., p.428)
Costa partecipa ad entrambi e, rientrato in Italia, organizza una serie di conferenze nelle quali cerca di far capire la necessità di introdurre un respiro internazionale nell’ambiente ancora molto provinciale del socialismo italiano.
Autore: Arianna Sardella
Revisione e cura: Alessandro Ardigò, Valentino Valitutti
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