
Questo articolo è una traduzione a cura di Valentino Valitutti dall’originale spagnolo El Legislador de la Estepa: la otra “Hazaña” de Gengis Kan
Un personaggio, diverse rappresentazioni
Gengis Khan è una delle figure storiche che suscita più interesse e probabilmente una delle personalità più complesse della Storia. Il fatto che né lui né i suoi consiglieri più intimi abbiano lasciato documenti scritti ha originato la comparsa di due immagini distinte del Gran Khan: una trasmessa dai suoi seguaci, che lo ritraggono a cavallo come eroe epico caratteristico di un racconto edulcorato, l’altra promossa dai suoi nemici, che lo rappresentano come guerriero crudele e sanguinario.




In base a tali ricostruzioni, Temujin – questo era il nome del cosiddetto Khan Oceanico – era un analfabeta che introdusse la scrittura nel suo popolo; era al tempo stesso un leader militare che, in base a fonti storiche cinesi, pensava non ci fosse maggior piacere che massacrare il nemico, sottrargli i propri cavalli e greggi, e violentarne le donne, ed era colui che fece scrivere nella Yasa – Codice Mongolo – che avrebbe punito con la morte il furto e l’adulterio. La stessa persona che diede fuoco a Pechino per più di un mese era anche il condottiero che comprese il valore di includere e integrare popoli diversi, rispettandone i costumi; Gengis era un uomo che, partendo da una condizione di miseria in seguito all’assassinio del padre e la disintegrazione del suo clan – tutto sommato il più piccolo all’interno delle tribù mongole –, riuscì a conquistare il più grande Impero di terre della Storia. Gengis Khan fu colui che, dopo aver segnato così profondamente la Storia Universale, al momento della sua morte decise di non lasciare alcuna traccia. Questo episodio, ottocento anni dopo, continua a richiamare l’attenzione di numerosi storici e archeologi che cercano assiduamente il luogo esatto della sua tomba – l’ultimo tra questi è un progetto iniziato nel 2015 da Albert Lin dell’Università della California –.
Tuttavia, come già riportato, Gengis Khan non fu solo capo di un esercito; secondo Kravitz, l’immagine di lui che lo ritrae come un guerriero nomade spietato non gli rende giustizia, e lo studioso a tal proposito menziona la grande capacità dello stesso come statista. E sicuramente, il leader mongolo costituì uno spartiacque, segnò un prima e un dopo nella Storia ed il suo nome è ancora presente nella popolazione della Mongolia: introdusse numerose riforme e si servì delle trasformazioni che si stavano verificando all’interno della società per raggiungere i propri obiettivi. In tal senso, il Gran Khan lasciò un’impronta praticamente incancellabile nella memoria dell’Asia. Ad ogni modo, per comprendere appieno l’impatto reale della sua figura, in primo luogo è necessario ripercorrere la vita nelle steppe prima della sua nascita.
La steppa, luogo di contrasti geografici e sociali
Agli inizi del secolo XII, diverse tribù – Tartari, Naimani, Keraiti –, erano stanziate nella zona attuale della Mongolia. L’aggettivo “mongolo” era proprio di un piccolo gruppo stabilitosi al sudest del lago Bajkal e non designava ancora gli abitanti di questo stato.




La maggior parte dei nomadi di queste tribù era analfabeta e aveva acquisito uno stile di vita nomade pastorale per influenza principalmente di un clima poco ospitale: un paesaggio dominato da una forte oscillazione termica e caratterizzato dalla scarsità di pioggia e piene fluviali, insieme a un ambiente secco e freddo per gran parte dell’anno, non rendono queste zone aree adeguate per la coltivazione. Tuttavia, la presenza di pascoli verdi interminabili fa di queste terre un luogo ideale per l’allevamento di animali erbivori, maggiormente adattabili alle temperature estreme e secche. Ad ogni modo, come segnala Pelegero (2010) nella sua biografia su Gengis Khan, tale stile di vita, al di là di un’alimentazione poco equilibrata per la mancanza di vegetali nella dieta – prodotti, d’altro canto, che avrebbero dovuto acquisire per mezzo di un commercio complementare e secondario –, rappresentava un’enorme instabilità in seguito alla frequente mortalità dei capi di bestiame dovuta a cause differenti. Lo storico cita brillantemente un proverbio kazako per spiegare questa situazione: le pecore sono grasse in estate, forti in autunno, deboli in inverno e morte in primavera.




Bisogna segnalare almeno cinque tipi di bestiame nel modello economico mongolo: capra, cammello, mucca, pecora e cavallo. Degli ultimi due, il primo aveva assunto un grande valore economico dato che dall’allevamento ovino si produceva la maggior parte dei mezzi di sussistenza; tuttavia, il cavallo sarebbe presto diventato il glorioso simbolo della civiltà mongola, e la sua presenza risultò essere un elemento di prestigio sociale tra le tribù.




Il cavallo non solo veniva impiegato negli spostamenti e nella pastorizia, ma la sua importanza divenne determinante per il mondo militare mongolo: il cavallo delle steppe è forte e resistente, ma anche rapido, e questo aspetto diede ai mongoli la possibilità di muovere grandi contingenti di soldati da una parte all’altra del territorio in solo pochi giorni. D’altro canto, questi movimenti non sarebbero stati del tutto possibili senza una trasformazione della società.
Una rivoluzione culturale, identitaria e politica
Alcuni autori ritengono che i mongoli del XII secolo si trovassero nel bel mezzo di un processo di feudalizzazione, e pertanto che esistesse qualcosa di simile a un feudalesimo di stampo nomade (Hambly, 2010); nonostante ciò, a causa della polemica storiografica intorno al termine “feudalesimo”, questa parola non verrà usata nel presente articolo. Ciò che invece sembra chiaro è che la società stava evolvendo. In parte, l’organizzazione tradizionale basata su lignaggi e antenati comuni da un lato, e l’asse famiglia-clan-tribù dall’altro, ricoprirono un ruolo importante nella configurazione posteriore, durante il canato di Gengis Khan. Sotto questo aspetto, è interessante vedere come gli interessi tribali svolsero una funzione rilevante nelle alleanze e confederazioni dei gruppi etnici, spesso appellandosi ad antenati comuni in una genealogia quantomeno dubbia; ma si verificò anche il caso contrario, vale a dire la disintegrazione e la disgregazione delle tribù, causa di una crescente frammentazione della società, per puri motivi economici.
È fondamentale, dunque, sottolineare come tale situazione di unioni tribali per perseguire obiettivi comuni stesse già nascendo all’interno del mondo nomade, ben prima dell’arrivo di Temujin; il nonno di lui, Khabul Khan, ostentò il titolo di khaqan, leader di una confederazione di tribù, al fine di attaccare le frontiere cinesi. D’altro canto, è necessario stabilire in questo momento una caratteristica peculiare che differenzia Genis Khan dai suoi predecessori: nonostante le differenti tribù mongole si associavano per raggiungere scopi comuni, fu il Gran Khan colui che per primo riuscì ad unire tutto il popolo delle steppe, non senza spargimento di sangue, sotto un’autorità comune: quella del Khan Oceanico, di Gengis Khan, eletto come capo nel kuriltai, l’assemblea dei principi, nel 1206. Però, perché i mongoli del tempo decisero di affidare un potere così grande nelle mani di un solo uomo? Cosa portò la civiltà della steppa a scegliere Gengis Khan come unico khaqan?




La risposta a questa domanda non è mai stata davvero chiara e ha dato vita a varie ipotesi. Ad esempio, si suppone la necessità di un’unione militare per lottare contro gli Stati “sedentari” – come le diverse dinastie cinesi –, con i quali i mongoli intessevano relazioni ambivalenti e contraddittorie. Tali relazioni si concretizzavano nel commercio e l’assimilazione del modo di vita straniero, ma anche nella razzia e nel saccheggio; i cinesi, dal canto loro, si dedicavano a realizzare spedizioni punitive, a fortificare le proprie frontiere e a mettere delle tribù contro altre per evitare che si sviluppasse un potere talmente forte nelle steppe da uscirne sconfitti. Gli stessi cinesi jurchen usarono i tartari per questo scopo. Persino il padre di Gengis Khan, Yesuguei, morì avvelenato da un tartaro.
Dal punto di vista economico, c’è chi suggerisce, probabilmente in maniera corretta, che alla fine del XII secolo la situazione in Mongolia era disperata a causa delle temperature fredde che avevano devastato le steppe. Le stesse avrebbero causato moria di pascoli, necessari al difficile mantenimento del bestiame mongolo. È possibile fosse questa una ragione sufficiente per vendersi al miglior offerente. In questa lotta è necessario anche osservare la grande quantità di sangue versato e le frequenti battaglie per giungere a tale unione tribale. Tra questi scontri si legge della tragica storica di Jamuka con Temujin, vecchi amici, fratelli di sangue, che finirono col combattersi per conquistare il potere delle tribù. Si ritiene che gran parte dei capi tribali preferissero Gengis perché l’ambizione di Jamuka era troppo elevata.
Anche se queste risposte non arrivano a esaudire in maniera certa e definitiva gli interrogativi posti, sicuramente presentano un’immagine abbastanza verosimile dei problemi esistenti nella Mongolia del XII secolo: instabilità interna provocata dalla scarsità di pascoli, scontri tribali, e l’ingerenza cinese nell’interesse di destabilizzare gli abitanti delle steppe.
La vittoria su tutte le tribù oppositrici, specialmente quella di Jamuka, fecero in modo che il potere di Temujin fosse indiscutibile. Così, sulle rive del fiume Onon,Temujin fu proclamato Gengis Khan – Capo Supremo o Khan Oceanico – nel 1206. Tuttavia, la sua esperienza e le sue origini umili e oscure lo portarono a innescare una trasformazione della società mongola che servisse ai propri interessi. Il primo passo, di impatto rivoluzionario, fu la conquista di una nuova identità: i mongoli non erano più tribù disperse, bensì un popoli unito, strutturato introno ad un’autorità centrale e con interessi comuni. Quella stessa autorità centrale occupava la cuspide di una società che, pur continuando ad essere divisa in classi, aveva subito delle variazioni. È importante evidenziare come la scomparsa delle antiche gerarchie tribali, sostituite da quel momento dal governo indiscusso di Temujin, facilitarono la trasformazione. Naturalmente, sotto Gengis Khan si trovavano i suoi parenti più intimi, e ad un gradino inferiore la nobiltà; alla base, il resto dei mongoli.




L’integrazione politica di differenti etnie e clan contribuì inoltre a una migliore coesione. Tra tutte le novità, meriterebbero una menzione particolare la meritocrazia, la ripartizione del bottino di guerra senza distinzioni di origine tribale – sebbene di classe – e la scelta delle gerarchie militari ad opera dello stesso Gran Khan, con l’intento di evitare qualsiasi infedeltà dei suoi generali. L’aristocrazia tradizionale delle tribù rimaneva di conseguenza relegata in secondo piano e gli stessi gruppi etnici vennero inglobandosi poco a poco all’interno di questo schema complesso, la cui base era in aumento. Tra queste valutazioni è cruciale segnalare la tolleranza nei confronti delle differenti credenze e tradizioni assimilate dall’Impero di Gengis Khan. Nonostante i mongoli professassero l’animismo, non sorsero problemi ad ammettere l’eterogeneità religiosa e una coesistenza pacifica delle varie fedi, al punto che non si diede peso particolare ad alcun credo e la libertà di culto sembrò estendersi a tutti i territori conquistati.




La militarizzazione della società
Tuttavia, se in qualcosa si caratterizzò la società di Temujin fu per la sua militarizzazione, che aiutò l’integrazione all’interno del mondo mongolo. I clan e le tribù assorbivano lentamente popolazioni man mano l’Impero si estendeva. La ripartizione dei bottini, nonostante differenziata tra le classe sociali, non era determinata dalle origini, bensì dalla partecipazione o meno alle battaglie. La stessa cupola di Gengis Khan era militarizzata e i suoi amici più intimi occupavano i posti di maggior rilievo per salvaguardare le alleanze ed evitare le ribellioni.
Si sottolinea, d’altro canto, che la stessa climatologia del terreno aveva reso i mongoli fieri guerrieri. L’ostilità dell’ambiente gelido fungeva da meccanismo di selezione naturale: in un clima così ingrato come quello della steppa, solo coloro che maggiormente erano in grado di adattarsi sopravvivevano nel mare dei pascoli. Pelegero (2010) ricorda che, in un società bellicosa come quella mongola, non esisteva una parola caratteristica per designare il vocabolo “guerriero”, in quanto assorbito nel significato della parola “uomo”: vale a dire, il genere determinava il destino, e il sesso maschile portava intrinsecamente in sé una finalità militare. La donna, invece, avrebbe avuto un ruolo molto particolare nella cura degli animali mentre gli uomini sarebbero andati in guerra. L’importanza della figura femminile fu, quindi, cruciale per la crescita economica di stampo nomade.




Anche il Khan beneficiò di questo stile di vita per le sue conquiste. Precedentemente si è segnalata l’importanza del cavallo nella società mongola. Il mongolo dei secoli XII e XIII era preparato a trascorrere la vita a cavallo: poteva passare vari giorni in sella senza che ci fossero inconvenienti. A questo vantaggio, insieme alla corporatura robusta del popolo delle steppe, bisognerebbe aggiungere una riforma militare in cui l’esercito risultò frammentato in unità di dieci, cento, mille e diecimila soldati. Lo stesso Gengis Khan possedeva una guardia personale con diecimila tra i giovani meglio addestrati. Alla rapidità della cavalleria si aggiunse una struttura militare dalla grande flessibilità.
Molto presto, persino il Khan Oceanico si rese conto dei grandi vantaggi insiti nell’incorporazione della tecnologia bellica dei popoli conquistati. Sul piano militare sarebbe necessario menzionare anche la guerra psicologica usata abilmente da Temujin. L’arrivo nel territorio di un popolo che rifiutava arrendersi implicava scatenare la fierezza di tutta la milizia, che riduceva la città in polvere e uccideva la maggior parte della popolazione; sopravvivevano solo ingegneri e artigiani, e alcuni abitanti che avevano il dovere di trasferirsi alle località attigue per raccontare le atrocità che commettevano i mongoli. Conseguentemente, molte città capitolavano per non essere testimoni della collera del popolo delle steppe. Tale violenza può essere spiegata con l’esiguo numero di membri dell’esercito mongolo – 200.000 unità nel 1219 secondo Ebrey (2009) –, che li spinse a ricorrere a tecniche sanguinarie per assicurarsi il controllo dei territori. Nonostante le strategie cruente, le esecuzioni erano rapide, prive di sadismo e con il chiaro intento di infondere paura.
Tuttavia, Gengis Khan possedeva più armi, oltre al suo potente esercito e al terrore. Il fatto che molti combattimenti terminassero con vittorie mongole nonostante la visibile inferiorità numerica, si deve anche al valore che Temujin attribuiva all’informazione. Per questa ragione, diede vita ad un consistente gruppo di spie che aizzavano nelle corti per rompere alleanze e procurarsi appoggi, e al tempo stesso a una rete di esploratori dediti a studiare il terreno e analizzare il potenziale del nemico con l’obiettivo di avere un’influenza positiva nelle battaglie future.
Il vento nuovo dell’Impero: l’intenzione di dare una struttura alla società
In campo politico, il Khan Oceanico si ritrovò nella condizione di dover elaborare una serie di strutture su cui articolare la nuova società. A tale scopo sarebbe stato necessario stilare un corpus giuridico e dar vita ad un sistema amministrativo come base per l’Impero che si stava formando. Gengis Khan ne intuì l’importanza e già nel 1204 ordinò a Tatatonga, suo cancelliere di origine uigura, di creare un alfabeto. Tatatonga adattò l’alfabeto uiguro al lessico mongolo; la necessità di amministrare l’Impero fu la ragione che indusse i mongoli ad acquisire il loro prima sistema di scrittura, in modo da gettare le basi su cui cementare il sistema legislativo ed amministrativo. Un analfabeta come Temujin aveva compreso appieno i benefici della scrittura nel trasmettere ed archiviare informazioni e l’importanza della stessa come motore per avviare la costruzione dell’Impero.
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della Mongolia.
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Dopo l’introduzione della scrittura, il primo obiettivo per quella nuova società era un codice di condotta. L’integrazione e l’unificazione tribale avevano dato vita ad una nuova realtà sociale per i mongoli, il cui sistema organizzativo era cambiato per sempre. Pertanto, fu indispensabile elaborare una legge che fosse uguale per tutti, senza alcuna distinzione. Quel corpo legislativo, anche se non è giunto direttamente fino ai giorni nostri, fu conosciuto con il nome di Yasa. La Yasa presupponeva un ordine gerarchico della società, e al tempo stesso regolamentava i benefici nella ripartizione dei bottini, la proprietà privata e la risoluzione dei conflitti con l’intervento di un’autorità quando, precedentemente, la vendetta tra clan avrebbe provocato una lotta senza fine. Inoltre, furono codificati castighi severi per le alte cariche che venivano meno ai loro doveri; anche la pena per tradimento era stata prestabilita. In campo sociale, la Yasa aveva dichiarato la donna depositaria di determinati diritti per il suo valore nell’economia della famiglia, anche se nella vita domestica la poligamia aveva soggiogato il gentil sesso, collocandolo in una posizione quantomeno secondaria. Ciononostante, la legge proibì tassativamente il sequestro e la vendita di donne.
Anche se molte di queste norme sono state etichettate come “draconiane”, erano necessarie per curare diversi mali che colpivano la società e per controllare quei comportamenti che avevano provocato screzi tra i diversi gruppi etnici.
In campo amministrativo, due riforme contribuirono alla solidità strutturale dell’Impero mongolo. D’ispirazione naiman e influenza uigura, le due riforme concernevano la costituzione di un censo e di un servizio postale, entrambe profondamente legate al servizio militare.
Il censo venne utilizzato come misura di controllo demografico con una doppia funzione: da un lato, conoscere il numero di abitanti dell’Impero per la riscossione dei tributi; dall’altro, sapere quanti uomini in età da militare vivessero per rifornire l’esercito mediante le leve.
Il servizio postale era legato alla primitiva rete di spionaggio. In seguito, avrebbe influenzato lo sviluppo delle comunicazioni con l’obiettivo di far pervenire le informazioni ad ogni angolo dell’Impero. Lo stesso fu opera di un gruppo di esperti; i soldati a cavallo che componevano tale sistema erano specialisti in quel tipo di attività; dopo un numero determinato di chilometri erano presenti postazioni con cavalli freschi affinché la corsa dei messaggeri non venisse interrotta dalla stanchezza degli animali.
Tra mito e realtà
Con quest’ultima riforma, si consolidò une rete di comunicazioni in tutta la geografia di un Impero che, alla morte di Temujin nel 1227, si estendeva dal mar del Giappone al Caspio e dal Caucaso al Regno di Corea, passando per il nord della Cina, radendo al suolo la Rus’ di Kiev e dominando tutta l’Asia Centrale. Genio militare e statista, barbaro e civilizzatore, il Khan Oceanico morì senza che nessuno sapesse il luogo dove fu sepolto: l’uomo che partì dal nulla per conquistare tutto decise di lasciare la Terra senza la benché minima traccia. Ad ogni modo, ottocento anni dopo, la sua figura nella Storia continua ad essere indelebile, e la sua eredità smisurata.




BIBLIOGRAFIA
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- VV.AA. (1968). Nueva Historia Universal: volumen II. La Edad Media. Madrid.
Autore: Jesús Ricardo González Leal
Traduzione dallo spagnolo: Valentino Valitutti
Revisione: Valentino Valitutti, Alessandro Ardigò
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