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La profezia del Veltro – divagazioni numerologiche sulla Commedia

“… Mi ritrovai per una selva oscura… “ (Inf. I, 2)
Nel celeberrimo verso di Dante si figura la poetica e drammatica testimonianza di una coscienza che avverte il disordine morale e la condizione di smarrimento dell’uomo che, traviato moralmente e intellettualmente, si ritrova senza orientamento, senza ideali, senza luce. Com’è accaduto d’aver perso la via e di trovarsi spaesato e sgomento, in preda alla disperazione, nel contesto di un’umanità perduta dietro false immagini di bene? È questa l’amara consapevolezza e la conseguente decisione per cui il Dante peccatore si accinge a comporre la “Commedia”: avere per fine il rinnovamento di sé e della società umana nel tentativo di allontanarla dallo stato di miseria spirituale in cui vive, per condurla verso uno stato di pace e beatitudine. Ciò è quanto egli stesso scrive nella memorabile Lettera XIII diretta al suo munifico benefattore Cangrande della Scala nel dedicargli la Cantica del Paradiso.

Per raggiungere tale scopo, il poeta prende le mosse dalla sua personale condizione di peccatore che anela ad uscire dalla “selva oscura” del male in cui è precipitato, con l’aiuto della ragione e in forza della grazia divina. Rinnovare una società corrotta e tormentata da contrasti e desideri inappagati richiede prima di rinnovare se stessi. Ma l’ardua impresa non è indolore e le virtù civili non bastano a superare le avversità del cammino. Perciò il poeta necessiterà dell’aiuto di Virgilio e di Beatrice che incarnano e sono figura della filosofia e della teologia, della ragione e della grazia divina. Sotto la loro guida, il poeta cristiano, partendo dall’orribile situazione in cui è collocato all’inizio del poema, potrà attraversare in successione i mondi ultraterreni dell’Inferno, luogo di dannazione, poi il Purgatorio, luogo di dolorosa purgazione, per raggiungere l’epilogo positivo del suo viaggio nella beatitudine eterna del Paradiso. Ma, se alla salvezza individuale del poeta soccorrono la visita e la meditazione dei tre regni d’oltretomba con l’amorosa e sapiente assistenza di Virgilio e Beatrice, per l’altra umanità vivente, precipitata nel disordine morale e civile perché priva della guida sicura dei due poteri terreni voluti dall’Alto, quello spirituale della Chiesa e quello temporale dell’Impero, Dante annuncia profeticamente l’avvento di un Veltro:

“[…] ‘l Veltro verrà […] Questi non ciberà terra né feltro, ma sapienza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro.” (Inf, I, 100-105).

Questo Veltro annunciato vincerà il male e lo caccerà da ogni terra confinandolo definitivamente nell’Inferno. Il Veltro, velocissimo e agilissimo cane da caccia, è metafora oscura del protagonista destinato secondo Dante a sconfiggere il male. Chi sarà dunque questo Veltro, alieno da ogni cupidigia di ricchezze e di dominio, che si pascerà solo di Dio e delle cose divine? Il poeta lascia volutamente indeterminata la figura del protagonista e i commentatori della Commedia hanno avanzato lungo i secoli le più diverse ipotesi di identificazione.

I figli di Dante, Iacopo e Pietro, videro nel Veltro l’allegoria di un personaggio eccezionalmente virtuoso; i commentatori più moderni vi ipotizzarono l’allusione a Cangrande della Scala; altri vi scorsero l’avvento di un luminoso pontefice; altri il trionfo dello Spirito Santo. Ogni ipotesi avanzata presenta ovviamente delle fondate ragioni a sostegno, suffragate dagli eventi storici della vita di Dante, dalla sua cultura filosofica e teologica o dall’interpretazione di passi della Divina Commedia e delle altre opere del poeta.

Rileggendo più e più volte i versi della misteriosa profezia del primo canto dell’Inferno, mi è accaduto, forse in modo casuale o forse per un curioso gioco della mente, di iniziare una serie di concatenazioni del pensiero che, nel loro inizio, considerai un po’ bislacche, ma seduttive. Cominciai a notare che la profezia del Veltro si sviluppa tra il verso 102 e il verso 111.

Orbene la somma delle cifre di entrambi i numeri dà singolarmente 3, il numero del mistero trinitario. Non solo il 3 derivante da 102 e il tre derivante da 111 sommati fanno 6, che è il primo della serie dei numeri perfetti, quelli che corrispondono alla somma dei loro divisori. Allora, come non ricordare immediatamente quella definizione di Dio data da Dante nel canto XV del Paradiso:

“[…] Quell’uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e due e uno
non circunscritto e tutto circunscrive.”
(Pd, XIV, 28-30)

Qui, in modo esplicito, il 6 del primo e del secondo verso è dato dall’uno (il Padre) dal due (il Figlio), dal tre (lo Spirito Santo): il Dio uno in tre persone distinte del credo cristiano, l’essere perfettissimo. Si veda, per inciso, come un acuto studioso della Commedia, Karl Vossler, sottolineò come determinante nella scelta della terzina endecasillaba a rima incatenata la motivazione religiosa, il richiamo alla santissima Trinità.
E, comunque, in Dante, il numero, particolarmente il tre e i suoi multipli, si carica di complesse significazioni di origine religiosa, ma anche magico-cabalistica. A sostegno di queste evidenza basti notare che il poema dantesco è composto da tre cantiche; che 33 sono i canti di ognuna; tre sono le bestie che sbarrano la via al monte della salvezza; 9 sono i gironi dell’Inferno; 9 le ripartizioni del Purgatorio; 9 i cieli del Paradiso; 3 le guide nel viaggio ultraterreno: Virgilio, Beatrice, San Bernardo; 3 i sogni del poeta nel Purgatorio (IX-XVIII-XXVII); 9 gli anni del primo incontro con Beatrice… e via dicendo.
E, a proposito di Beatrice, Dante, nel capitolo XXIX della Vita Nova, in occasione della morte della sua amata, stata per lui l’essenza della bellezza, della grazia e della virtù, arriva a definirla “una nove, cioè un miracolo la cui radice… è solamente la Trinitate.”

Dunque, in modo esplicito o implicito, il frequente ricorso ai numeri per significare concetti, persone, realtà velate, nascoste, sottostanti al numero stesso, poteva attagliarsi anche all’enigma della profezia del Veltro. Si trattava di trovare il bandolo per sviluppare una fantasia che avesse anche connotati di verisimiglianza e aderenza al testo della Commedia.
Ciò accadde quando nel canto XXXIII del Purgatorio, rilessi l’annuncio di Beatrice a Dante dell’avvento di “…cinquecento dieci e cinque”, divino autore di un intervento superiore destinato a ristabilire l’ordine e la giustizia nella società umana. Gli interpreti e commentatori del testo interpretarono comunemente l’espressione “un cinquecento dieci e cinque” leggendovi la parola DVX che deriva dal numero romano di DXV anagrammato. Anche in questo caso chi possa essere questo DVX inviato da Dio resta nel campo delle congetture.
Certo è che concettualmente la corrispondenza delle due profezie, quella del Vetro è quella del DVX, è piuttosto evidente perché entrambe prospettano in un futuro certo l’aspettativa di rinnovamento e risanamento morale dell’umanità.
Ma, a ben cercare, le coincidenze non si esauriscono nel contenuto di salvezza presente nelle due profezie che lasciano però nell’ombra il protagonista dell’evento salvifico.

Faccio appello all’indulgenza dell’ascoltatore nel seguire una improbabile e cervellotica divagazione tra alcuni incastri e connessioni numeriche che hanno senso solo alla luce del clima poetico intriso di simbolismo e allegorismo come quello medioevale, alla ricerca di strade sotterranee e inusuali per svelare la “narrazion buia”, l’”enigma forte” delle due profezie, relativamente al loro protagonista innominato. Vediamo come.

Il “cinquecento dieci e cinque” annunciato in Purgatorio, se scritto in cifre arabe corrisponde al numero 515. Ora, nella profezia del Veltro, nel primo canto dell’Inferno, le iniziali dei quattro animali citati in sequenza (Lonza, Leone, Lupa e Veltro), scritte in numero romano LLLV (50+50+50+5), danno 155 che è, guarda caso, l’anagramma di 515.
Potrebbe trattarsi di una coincidenza. Sorprende, però, che nel canto XVIII del Paradiso, nel cielo di Giove pianeta della divina giustizia:

“[…] sante creature, volitando cantavano
e faciensi or D, or I, or L in sue figure.”
(vv.76 79)

Le anime dei giusti e più, danzando e cantando, vanno a formare nel ciclo dei giusti tre lettere che anagrammate formano la sequenza DLI, cioè il numero romano che in cifre arabe sta per 551.
Dunque, al 155 dell’Inferno e al 515 del Purgatorio, segue il 551 del Paradiso. Starà nella iterazione di questi numeri la chiave per comprendere le due profezie?

INFERNO – CANTO I (vv. diversi)
LONZA – LEONE – LUPA – VELTRO
1° annuncio di un portatore di pace e giustizia nel mondo

LLLV (50+50+50+5)=155


PURGATORIO – CANTO XXXIII (vv. 43-44)
CINQUECENTO DIECI E CINQUE
2° annuncio di un portatore di pace e giustizia nel mondo

DVX-DXV=515


PARADISO – CANTO XVIII (vv. 76-79)
3° pace e giustizia realizzate nella beatitudine del Paradiso

DLI=551


Si osservi che la somma delle cifre che compongono i numeri in questione dà sempre 11 x 3 volte, cioè 33: l’età di Cristo nell’anno del suo sacrificio in croce per la salvezza del mondo.
A questo punto addentrarsi nel gioco dei numeri disvela in ogni sapiente combinazione un significato nascosto, una intenzione probabile più che un evento stocastico. Posti in colonna i numeri scoperti dentro l’involucro del testo letterario diventano scheda di lettura aperto a significati connessi ai misteri principali della fede cristiana: unita e trinità di Dio; passione, morte e resurrezione del Cristo.

Da questa curiosa incursione nella coincidenza di contenuti numerici, artatamente comparata per trovare un protagonista della salvezza del mondo, come annunciato nelle due profezie del vetro e del DVX, la lezione da cogliere è che la ragione non è sufficiente da sé a penetrare nell’ordine soprannaturale. Va per tentativi. Ma il vigore intellettuale dell’uomo non può gareggiare con l’eterna sapienza e prescienza divina. Perciò Dante concepisce la storia come teologica, per cui nell’andamento delle cose e degli avvenimenti interviene l’azione di Dio, i cui disegni rimangono per noi misteriosi e imperscrutabili anche se si adempiono nel rispetto della volontà umana.

Dio: “…là ‘ve ogne ben si termina e si inizia…” (Pd. VIII, 87)
(Dio principio e fine di ogni cosa).

Dio: “…il punto a cui tutti li tempi son presenti…” (Pd, XVII, 17-18)
(Dio è nell’eternità fuori del tempo e dello spazio).

Dio: “…Colui lo cui saver tutto trascende…” (Inf. VII, 73)
(Dio trascende ogni conoscenza umana).

Il veltro, il DVX che porterà la pace e la giustizia nel mondo, sottendono, per me, il trionfo finale del Cristo in cui si ricapitola tutta la storia del secoli prima della sua venuta e quelli a venire.

Fine dell’articolo
Autore: Giuseppe Piantoni
Trascrizione: Nadine Di Cio
Revisione e cura: Alessandro Ardigò, Mario Taccone

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