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Discontinuità pedagogiche della didattica a distanza in Francia durante il confino da Covid-19

© Laurent Kronental, Les Yeux des Tours, 2015, immagine reperibile a questa URL
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*[IT] Tutte le fotografie riprodotte in questa pubblicazione sono di Laurent Kronental, che con i suoi scatti interroga e testimonia del quotidiano degli abitanti dei grandi complessi urbani della regione parigina.
[FR] Toutes les photographies reproduites dans cette publication ont été prises par Laurent Kronental, qui, avec ses clichés, interroge et témoigne du quotidien des habitants des grands ensembles urbains de la région parisienne.
www.laurentkronental.com

[Ndr.] Una versione francese del presente articolo è apparsa sulla rivista parigina Diacritik il 20 aprile 2020. Questa traduzione italiana è a cura dell’autore stesso, che ringraziamo.

“Allora, io non capisco niente, i corsi on-line sono troppo difficili, tanto più che l’ENT [area di lavoro digitale] si bugga spesso. Ci sono troppe cose da fare, è difficile perché non capisco bene le spiegazioni e non c’è nessuno che mi aiuti qui”. Questa studentessa di quarta collège [Nell’ordinamento scolastico francese il «collège» corrisponde alla scuola secondaria di primo grado e dura quattro anni: sesta, quinta, quarta e terza, ndT] scrive al suo professore Laurent Saget, insegnante di scienze e rappresentante del personale nel collège della banlieue parigina dove lavoro come professore di francese. Saget si è poi preoccupato di trasmettere all’insieme dei colleghi e al personale di direzione questo messaggio in cui la studentessa comunica il suo sgomento di fronte ai corsi on-line : “oltretutto non ho più la stampante, quindi non posso stampare i fogli che gli insegnanti inviano, e questo mi penalizza ancora di più”.

Dal 16 marzo, data di chiusura delle scuole in seguito all’epidemia del nuovo coronavirus, la nostra scuola mette in atto la continuité pédagogique, e gli insegnanti si mobilitano quotidianamente per cercare di ricreare un contatto con ciascuno degli alunni tramite il loro computer o via telefono. “Molti genitori e studenti sono in grande difficoltà – mi dice Saget -, è una realtà. Questa testimonianza viene da una studentessa di livello abbastanza buono, che si interessa ai corsi ed è sempre preoccupata di fare bene. Immaginiamo allora i problemi che incontrano i nostri studenti più in difficoltà, per non parlare delle condizioni in cui lavorano da casa… dobbiamo essere molto indulgenti”.

Dopo tre settimane di confino, la continuité pédagogique voluta dal ministro Jean-Michel Blanquer, con le critiche che suscita sempre di più, rappresenta certamente uno dei controsensi più significativi di questa “gestione” del confino in Francia. Una restituzione “dal basso”, a partire da testimonianze raccolte sul campo, permette infatti di osservare fino a che punto questo dispositivo di continuità pedagogica, che è un dispositivo aleatorio messo in atto in periodo di crisi sanitaria, amplifichi paradossalmente le falle strutturali nel sistema educativo francese, tanto sul piano sociale quanto su quello propriamente didattico.

© Laurent Kronental, Les Yeux des Tours, 2015, immagine reperibile a questa URL
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La discontinuità sociale.
Non pianificata e con mezzi informatici insufficienti, la continuité pédagogique amplifica impietosamente – come già diffusamente ribadito sui media – quelle disuguaglianze sociali che in Francia si sono costantemente accresciute negli ultimi anni. Le cifre fornite dal Ministero, che rilevano le connessioni alle varie piattaforme di apprendimento a distanza, sono in effetti molto difficili da valutare. Gli addetti ai lavori dell’Education Nationale lo sanno bene, molte famiglie hanno solo un computer per diversi bambini, e talvolta è persino necessario condividere il tempo di connessione con i genitori che praticano il telelavoro. Inoltre, nelle scuole dette “prioritarie”, quelle che spesso si trovano in quartieri svantaggiati, quasi tutte le famiglie hanno solo telefoni e nessun computer.

François Mevel, professore di storia e geografia, conferma: “alcune famiglie non hanno nessuna connessione; un alunno mi ha scritto per scusarsi, perché era costretto a spostarsi in un centro commerciale per connettersi alla rete wifi”. Inoltre, i genitori si ritrovano ora a dover svolgere un ruolo che non sempre è loro familiare: “Ho ricevuto il messaggio di un genitore – mi dice Mevel – che ammette di sentirsi perduto dovendo assistere il figlio nella continuità didattica; inoltre i genitori devono lavorare, mentre il figlio non è autonomo”. Senza dimenticare le famiglie in cui non si parla il francese, gli alunni allofoni, le famiglie ”itineranti”, gli alunni disabili, gli alunni che frequentano la scuola in carcere, i minori non accompagnati, cioè che non hanno famiglia né nessuno che ne eserciti le funzioni.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che la scuola rappresenta spesso un primo interlocutore di fronte alle situazioni di disagio sociale, un punto di mediazione tra le famiglie e gli organismi incaricati delle politiche sanitarie e sociali per la cura di questi bambini che, confinati, si ritrovano ora 24h/24 in contesti familiari estremamente difficili, se non addirittura violenti. Nelle banlieues, del resto, rimanere a casa è talvolta inconcepibile, pericoloso, o semplicemente impossibile. A chi servono, alla fine, queste ingiunzioni di continuità pedagogica, in un contesto in cui le politiche pubbliche hanno lasciato che si accentuassero tali divari di ricchezza e si concentrassero nello stesso luogo alunni in grande difficoltà sociale o vittime della segregazione etnica? Secondo Michel Aubouin, ex prefetto e specialista delle periferie e delle violenze urbane, lo Stato considera questi territori suburbani come delle vere e proprie “enclave esterne alla società francese” : “Non sono – dice intervistato per “Marianne” – strade pubbliche, e il potere di polizia – quello del sindaco in particolare – non si esercita”. Come si fa a trasmettere un messaggio a una popolazione che non vi riconosce nessuna legittimità?”.

© Laurent Kronental, Les Yeux des Tours, 2015, immagine reperibile a questa URL
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La discontinuità pedagogica.
Tuttavia, la messa in atto della continuité pédagogique non rivela soltanto l’esacerbazione di queste fratture sociali, ma anche il generale degrado strutturale in cui l’insegnamento si esercita oggi in Francia. Se l’emergenza sanitaria ha portato superficialmente il Ministero a rendersi conto di ciò che il sistema educativo deve ai suoi addetti sul campo – vedi i messaggi che plaudono alla mobilitazione, al senso di responsabilità e alla professionalità degli insegnanti (non formati alla didattica a distanza) –, questa crisi senza precedenti porta alla ribalta tutta una realtà finora invisibile di lavoratori poveri e di subalterni indispensabili, di corpi costantemente esposti alla violenza e al sovraccarico di lavoro.

Jean-Paul Delahaye, ex direttore generale dell’istruzione scolastica, ha recentemente fatto notare su “Libération” che lo stato di crisi consente di osservare in modo particolare “quanto l’azione a favore del buon rendimento scolastico di tutti gli alunni sia aleatoria nel nostro sistema educativo, troppo dipendente certamente dalle politiche pubbliche ma anche, per gli alunni, dal loro luogo di scolarizzazione e dalla capacità da parte degli addetti locali, del personale dell’Éducation Nationale e dei suoi partner, di creare o meno una cultura della collaborazione e una dinamica collettiva per il buon rendimento di tutti”. Tra l’altro, non solo oggi il piano d’emergenza della didattica a distanza si regge in piedi solo grazie all’uso del materiale personale e alla dedizione degli insegnanti, è importante ricordare anche che dei corsi on-line si incaricano spesso i molti precari dell’Éducation Nationale e dell’istruzione superiore, costretti loro stessi a condizioni di vita indecenti, come è stato recentemente riportato dai media grazie ai numerosi movimenti contro la riforma delle pensioni e la LPPR [legge di programmazione pluriannuale della ricerca].

Lo stato di crisi sanitaria mostra insomma, qui e ora, gli effetti di qualcosa che era già in atto. Per Anne-Lise Santander, professoressa di francese in un collège del dipartimento delle Hauts-de-Seine, è la necessità della differenziazione ad apparire ancora più evidente : “Già di norma non ci si riesce, perché la DHG (dotazione oraria globale) rende ormai impossibile costituire ore di lezione in piccoli gruppi, e adesso si perde il contatto individuale con gli studenti, anche se ci sono scambi di e-mail. Alcuni alunni in difficoltà sembrano essere completamente scomparsi”. Le classi ormai generalizzate di trenta alunni o più, le scuole stesse con effettivi in soprannumero, la penuria di mezzi e le precarie condizioni igieniche, obbligano gli insegnanti a lavorare in uno stato di crisi, in realtà, permanente, e terribilmente costoso in termini pedagogici ma anche umani e sanitari (salute mentale e fisica).

Mentre tutti gli scenari previsti per la ripresa progressiva delle attività nei vari paesi toccati dal virus sembrano includere la distanziazione fisica e l’impiego generalizzato delle maschere (vedi a questo proposito l’intervento di Magali Nachtergael), è gioco forza constatare che il sistema scolastico francese non dispone dei mezzi necessari. Se le classi con trentacinque studenti erano finora un’aberrazione pedagogica, ormai sappiamo che sono anche un pericolo sanitario. Non è in questa situazione di emergenza che la scuola – che non è responsabile di tutto e che non ha tutte le risposte – può risolvere tutte le sue difficoltà.

L’immagine degli alunni “lasciati ai margini” – secondo l’espressione usata dal ministro Blanquer – e degli insegnanti mobilitati da casa per cercare di ricreare i contatti, non è che una fotografia tra le molte possibili dell’epidemia attuale, che ha il potere di rimuovere tutte le illusioni e mettere a nudo forme di vita in cui la verità delle inerzie, degli automatismi e delle dipendenze emerge adesso alla luce.

© Laurent Kronental, Les Yeux des Tours, 2015, immagine reperibile a questa URL
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La discontinuità in me.
Questa immagine ci dice anche, forse, qualcosa di quella che è diventata la nostra vita di tutti i giorni, dove le fonti di inquietudine si moltiplicano, misteriosamente in sintonia con la nostra quotidianità più familiare. Ora che il racconto dei giorni ordinari si è bruscamente interrotto, una falla minaccia di risucchiare tutta la nostra vita come la conoscevamo prima. E questo non ha nulla di rassicurante. Siamo tutti mobilitati per trovare altri modi di creare legami, all’esterno ma anche all’interno, con noi stessi. Come se fossimo tutti insegnanti e studenti allo stesso tempo, intenti a reinventare giorno per giorno azioni per ricreare l’ordinario, ricomponendo i frammenti di vita più banali che ora è necessario risistemare, ma che non hanno più nulla di banale. Il sociologo Sylvain Beck lo ha confidato a “Libération”, il confino è una prova in cui il principale nemico non è il virus, ma noi stessi.

Le crisi che spezzano violentemente la rappresentazione ordinaria del mondo introducendo la dimensione angosciante dell’imprevedibile e dell’ingovernabile rappresentano anche, la psicoanalisi ce lo insegna, l’occasione di un ritorno all’essenziale, di entrare in contatto con le cose dalle quali siamo separati e che non potevamo o non volevamo vedere. Al di là degli slogan rassicuranti delle narrazioni ufficiali, che sembrano voler consolare per mancanza di vere soluzioni politiche, un discorso autentico della continuità non può misconoscere la discontinuità radicale che introduce il trauma, sia sul piano sociale che soggettivo, ma deve prenderla come un’occasione potente di trasformazione. In che modo allora, invece di condurre una guerra estenuante contro un nemico che percepisce solo come esterno, l’istituzione saprà cogliere le proprie debolezze come uno stimolo al dibattito e alla creatività? In che misura essa si sente obbligata, come lo siamo tutti noi quotidianamente, a reinventare un modo di fare, come proteggersi, come vedere ciò che non vedeva, come farsi carico, insomma, di queste discontinuità che sono anche la sua ricchezza?

© Laurent Kronental, Les Yeux des Tours, 2015, immagine reperibile a questa URL
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA CONSIGLIATE

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Autore: Andrea Manara
Revisione: Serena Lunardi, Alessandro Ardigò
Licenza Creative Commons
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