
Prefazione (di Arianna Sardella)
Marc Bloch il primo giorno di scuola
Ormai da alcuni anni le prime lezioni di ogni mio corso di storia, a prescindere dall’ordine – scuola media o superiore – o dall’indirizzo, hanno come ospite e protagonista lo storico francese Marc Bloch: a lui e alla sua “Apologia della storia” affido il compito di aprire e preparare il terreno, di indicare ai miei studenti la strada e di sgomberarla preventivamente da equivoci che potrebbero sorgere durante l’anno.
Si sa, in classe il tempo è tiranno, ma basta poco tempo e la lettura attenta di alcuni brani di Apologia della storia per impostare al meglio il lavoro che si affronterà per l’intero ciclo di studi.
Innanzitutto, con il testo di Bloch alla mano si potrà facilmente chiarire un aspetto: la Storia è la disciplina umanistica per eccellenza. Se l’oggetto di studio della storia è l’uomo in società nel tempo, allora «il bravo storico somiglia all’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda» (BLOCH, p. 23). Un’immagine evocativa e di sicuro impatto per gli studenti più piccoli, un ottimo spunto di riflessione per i più grandi, che introduce una questione centrale dell’insegnamento: quella dell’interdisciplinarietà e del superamento della frammentazione delle conoscenze in ambiti e discipline solo apparentemente a sé stanti. La storia e la letteratura camminano fianco a fianco, così come la storia e l’arte, la storia e la geografia:La storia delle eruzioni vulcaniche […] non appartiene alla storia degli storici. O per lo meno, non le appartiene se non nella misura in cui, forse, le sue osservazioni venissero per qualche verso a ricollegarsi alle preoccupazioni della nostra propria disciplina. Come si definisce allora, in pratica, la divisione dei compiti? (BLOCH, p. 21)
Bloch fa l’esempio di un golfo profondo, che nel X secolo della nostra era intaccava la costa fiamminga e che poi si è insabbiato; a prima vista, un affare da geologi. Ma, aggiunge lo storico, a guardare da vicino le cose sono ben più complesse: se già solo volesse interrogarsi sulle origini della trasformazione, il nostro geologo dovrebbe porsi questioni che esulano dalla sua più specifica competenza. Atti umani quali la costruzione di dighe, la deviazione di canali e i prosciugamenti hanno avuto un ruolo fondamentale. E qui c’è l’uomo, c’è la società, c’è il tempo, quindi c’è la storia. Ed ecco che non si può negare che «l’alleanza di due discipline si riveli indispensabile per ogni tentativo di spiegazione». Quale tentativo di spiegazione teorica avrebbe potuto descrivere meglio l’importanza di ricorrere all’interdisciplinarietà? La collaborazione, per Bloch, non è solo fra discipline diverse: la collaborazione è anche lo scopo del lavoro d’equipe. Uno storico deve conoscere le basi delle principali tecniche del proprio mestiere, ma non può negare i propri limiti:
Non v’è altro rimedio, allora, che sostituire alla molteplicità delle competenze in un solo uomo un’alleanza di tecniche, praticate da studiosi differenti, ma rivolte alla disamina di un medesimo tema. Questo metodo suppone il consenso al lavoro d’equipe. (BLOCH, p. 54)
Una sorta di cooperative learning, se così si può dire. Bloch usa un termine specifico: metodo. Cosa significa parlare di “Scienze storiche”? La storia non deve introdurre leggi posticce, la cui validità sarebbe continuamente messa in discussione. E allora dove sta la scientificità? La scientificità non è nell’oggetto della sua ricerca, ma nel procedimento e nel metodo dello storico.
La storia avrà dunque il diritto di rivendicare il suo posto fra le conoscenze veramente degne d’impegno solo nella misura in cui essa ci consentirà, invece di una semplice enumerazione, senza nessi e quasi senza limiti, una classificazione razionale e una progressiva intelligibilità. (BLOCH, p. 12)
Ecco qui un altro punto sul quale riflettere con gli studenti di tutte le età. Cosa significa fare ricerca applicando un metodo scientifico? Come si fa a consultare le fonti? Come ci si accerta che le fonti non dicano il falso? Basta pensare all’uso e all’abuso continuo che i giovani fanno di Wikipedia e di siti di dubbia credibilità, fonte inestimabile di informazioni ma anche terreno di coltura di travisamenti e fake news.
Gli insegnanti di storia, per quanto spesso se ne dimentichino, dovrebbero fornire ai propri alunni anche un’infarinatura di Cittadinanza e Costituzione. E Marc Bloch è lì, pronto a darci il suo supporto: Apologia della storia è un testo incompiuto, al quale mancano le ultime parti che lo storico avrebbe voluto inserirvi, e che secondo Lucien Febvre «si sarebbero annoverate fra le più originali». Manca, per esempio, un’Appendice, inizialmente prevista, sull’insegnamento della storia: come più volte affermato dallo storico, tale questione «non era solo, per lui, una questione da professore, ma anche da cittadino, […], un tema fondamentale per la definizione e la pratica della democrazia» (BLOCH, Prefazione, p. XXIV).
Inutile dire che, per quanto priva di tali capitoli dedicati, l’ Apologia sia una fonte inesauribile di spunti sull’esercizio della democrazia, sull’importanza della cultura e dell’agire umano in ambito sociale (non dimentichiamo che il testo fu scritto nel contesto dell’occupazione tedesca delle Francia e fu pubblicato nell’ambito del dopoguerra). L’Apologia siapre con unadomanda,unasemplicissimadomandadiunbambinoallaquale,comea tutte le domande dei bambini, non è per niente facile dare una risposta: «Papà, spiegami allora a che serve la storia». Domanda fondamentale, visto che Marc Bloch afferma di aver scritto il libro precisamente per dare una risposta a questo interrogativo. Poi dice qualcosa di meraviglioso: «per uno scrittore, non mi immagino lode più bella che di saper parlare, con il medesimo tono, ai dotti e agli scolari. Ma una semplicità così raffinata è privilegio di alcuni rari eletti». Leggendo queste parole, chiedo ai miei studenti di aiutarmi, da quel momento in avanti, a spiegare le cose in modo sempre più chiaro e preciso, chiedendomi chiarimenti e fermandomi ogni qualvolta dovessero trovare astruse le mie parole o i concetti che voglio esprimere: spesso, cerco di far capire, è un limite mio, non loro, che possono però guidarmi a superare. Marc Bloch mi ha anche consentito di porre le basi fondamentali del rapporto con gli studenti.
L’articolo di Alessandro Ardigò approfondirà l’analisi di Apologia della storia e fornirà strumenti validi per accostarsi al metodo e al lavoro di uno dei più grandi storici del Novecento, che ancora tanto può e deve dire alle nuove generazioni. Del resto, lo stesso Bloch scriveva, riferendosi ai giovani: «Mi augurerei di vederli approdare sempre più numerosi a questa storia allo stesso tempo ampliata e spinta in profondità, […]. Se il mio libro può aiutarli in questo senso, avrò la sensazione che non sia stato del tutto inutile» (BLOCH, p. 17).
Buona lettura,
Arianna Sardella




0. Introduzione
Lasciata incompiuta a causa della guerra, l’Apologia della storia di Marc Bloch rimane tutt’oggi una delle più significative opere di Storiografia del Novecento: lo è per i contenuti e per le vicende biografiche ed editoriali ad essa connesse.
L’Apologie pour l’histoire si configura come l’eredità intellettuale di uno dei due padri delle Annales d’histoire économique et sociale, Marc Bloch, fucilato a Lione il 16 giugno 1944 dai soldati del “Boia di Lione” Klaus Barbie, comandante della Gestapo locale. I manoscritti dell’Apologie furono lasciati incompiuti a causa di quel rovinoso succedersi degli eventi, come ci ricorda Jacques Le Goff nella Prefazione all’edizione del 1993, ma proprio per questo loro carattere “in divenire” risultano ancor più toccanti e densi di significato.
Appena dopo la guerra, i manoscritti e i dattiloscritti incompiuti di questa preziosa opera furono affidati dal figlio Étienne Bloch a Lucien Febvre, collega e amico di Bloch-padre e cofondatore, nel 1929, delle Annales. Febvre si dedicò alla sistemazione dei dattiloscritti pubblicandone una prima edizione apparsa già nel 1949. Étienne, però, non soddisfatto dell’edizione, che «non corrispondeva né per completezza, né per fedeltà ad alcuno dei manoscritti» (BLOCH 1998, p. XXXVII), decise, a distanza di quarant’anni, di approntare una nuova e più completa versione, da lui stesso curata. Questa nuova edizione uscì nel 1993 a Parigi per i tipi di Armand-Collin e fu poi tradotta e pubblicata in italiano nel 1998 per Einaudi.
Notevoli sono gli ampliamenti: l’Apologie passa dai due capitoli, non titolati, del ‘49 ai cinque capitoli dell’edizione rinnovata, così intitolati:
0. Introduzione
1. La storia, gli uomini, il tempo;
2. L’osservazione storica;
3. La critica;
4. L’analisi storica;
5. [senza titolo].
Questo è il motivo per cui in questo articolo si fa riferimento alla più completa Apologie degli anni ‘90, della quale si introdurranno qui i temi fondamentali seguendo il naturale ordine di successione dei capitoli.
L’Introduzione dell’Apologie si apre con due problemi-guida o domande-guida che imprimono direzione e tono a tutta l’opera. La prima, fondamentale, è: «Papà, spiegami allora a cosa serve la storia» (BLOCH 1998, p. 7). Chiaramente Marc Bloch pensa alla sua Apologia come ad un’opera divulgativa in grado di rivolgersi anche e soprattutto ad un pubblico di non specialisti. L’accento è vivamente posto sull’idea concretezza: «a cosa serve la storia», con quel verbo “servire” inteso nel senso pratico dell’utile quotidiano. Questa tensione-aspirazione alla concretezza del fare storico si percepisce immediatamente dal sottotitolo dell’opera: «Apologia della storia o Mestiere di storico».
Ma l’urgenza del momento – il Nazismo, la Resistenza, la Gestapo – poneva in maniera pressante alla mente di Bloch anche il problema della sincerità della storia. Ecco allora la seconda e pressante domanda-guida: lui, ebreo che servì la Francia nella Prima Guerra Mondiale, entrato poi nella Resistenza nei Franc-Tireurs, ora braccato dai nazisti, sente il dovere di rispondere, oltre alla “domanda del bambino”, anche ad una seconda – e più amara – domanda, la “domanda del soldato”, la domanda, appunto, sulla sincerità della storia:
Eravamo nel giugno 1940, il giorno stesso, se ben rammento, dell’ingresso dei Tedeschi a Parigi. Nel giardino normanno in cui il nostro Stato Maggiore, privo di truppe, trascinava i suoi ozi, noi rimuginavamo le cause del disastro. “Bisogna dunque credere che la storia ci abbia ingannati?”, mormorò uno di noi. Così l’angoscia dell’adulto riprendeva, con un accento più amaro, con l’ingenua curiosità del ragazzino. Bisogna rispondere all’una e all’altra [domanda].
(BLOCH, p. 9).
Bloch inizia a svolgere la sua risposta separando il concetto di utilità da quello di legittimità.
L’argomento della legittimità della storia si sviluppa per gradi. Il primo e più basilare è quello – molto concreto, immediatamente umano – della curiosità: «Senza dubbio, anche se la storia dovesse essere giudicata incapace di altri compiti, rimarrebbe da far valere, in suo favore, ch’essa è divertente». (BLOCH, p. 9). Una cosa molto umana, quindi la storia di Bloch, che si accende, come spesso capita, già nei bambini spinti dalla pura – e legittima – curiosità.
Il secondo grado di legittimità invece è più ficcante e riguarda lo statuto della storia come scienza. Bloch sostiene che se anche la storia non fosse utile, nondimeno sarebbe senz’altro legittima, poiché essa è a pieno titolo una scienza tutta tesa a indagare «nessi esplicativi fra fenomeni». Applicare questa definizione alla scienza-storica, ma anche e soprattutto a ogni scienza che voglia definirsi «scienza autentica» (BLOCH, p. 11) non è un’operazione neutra. Per Bloch, affermare che contassero i “nessi” equivaleva a fare un balzo metodologico in avanti, lasciando al passato l’idea che potessero sussistere “fatti” di per se stessi, bollando quindi come ormai passato l’approccio positivista:
Nessuno, credo, si azzarderebbe più a dire, oggi, con i positivisti di stretta osservanza, che il valore di una ricerca si misura, in tutto e per tutto, nella sua capacità di servire all’azione. […] Le sole scienze autentiche sono quelle che riescono a stabilire nessi esplicativi fra fenomeni.
(BLOCH, p. 11)
Passare da attenzionare i fatti (evidenti per se stessi) ad attenzionare nessi fra fenomeni significa compiere uno stacco da quel modello che accetta solo «dimostrazioni irrefutabili» e «certezze formulate sotto forma di leggi imperiosamente universali» (BLOCH, p. 14). Sono idee ormai sorpassate, dice Bloch, antiquate per gli stessi scienziati della natura, figuriamoci per gli scienziati che hanno come oggetto dei propri studi l’uomo. È l’evoluzione verso un’idea più «duttile» di scienza, in cui il certo viene sostituito dall’«infinitamente probabile» ma, soprattutto, rappresenta l’approdo ad un’idea di scienza ormai cosciente della relatività delle sue stesse misurazioni.
Si apre così un parallelo che percorrerà tutto il volume fra il rapporto – dinamico – tra scienze della natura e le scienze dell’uomo: la storia, per Bloch, non può essere una scienza positivista ma, allo stesso tempo, essa rimane una scienza, e non è un’opera di maestria e d’arte.




1. La storia, gli uomini, il tempo
In questo primo capitolo Marc Bloch definisce la storia come la «scienza degli uomini nel tempo» (BLOCH, p. 23). È una definizione che si arricchisce e completa in maniera progressiva, riflettendo su ogni parola chiave che essa contiene: scienza, uomini, tempo.
Scienza: Sul concetto di scienza, già toccato nell’Introduzione, Bloch torna qui e in numerosi altri punti della sua Apologie, riflettendovi diffusamente per tutto il libro poiché, in definitiva, è il rapporto storia-scienza lo snodo cardine della sua riflessione.
Se nell’Introduzione lo storiografo delle Annales aveva accennato al modello probabilistico e post-newtoniano di scienza, modello che rifiutava la ricerca unicamente di «leggi universalmente valide», qui invece egli si sofferma sulla contrapposizione fra arte e scienza. L’operazione di Bloch consiste, nei limiti del ragionevole, nel rendere meno rigida la separazione fra i due termini. Egli infatti sostiene che ogni scienza è caratterizzata da una propria forma estetica, da un proprio linguaggio e da un «godimento» che le è proprio:
Arte contro scienza, forma contro contenuto: altrettante dispute degne di essere riposte negli archivi della scolastica! In un’equazione esatta non c’è minor bellezza che in una frase appropriata. Ma ogni scienza ha una sua propria estetica del linguaggio. I fatti umani sono per definizione fenomeni delicatissimi, molti dei quali sfuggono alle determinazioni matematiche. Per esprimerli bene e, di conseguenza, per bene intenderli (si comprende mai perfettamente quel che non si sa esprimere?), occorrono grande finezza di lingua e giusto colorito nel tono espressivo. Doti che è impossibile calcolare, bisogna suggerire.
(BLOCH, p. 23)
Si noti che Bloch qui non soltanto traccia relazioni, punti in comune, nel medesimo tempo attribuisce alla storia un livello di complessità superiore, sopra tutte le altre scienze. La storia ha un compito di sintesi fra ciò che è – seppur relativamente – misurabile e ciò che non lo è affatto.
Uomini: Bloch scarta il singolare «uomo», poiché è un vocabolo che tende a idealizzare eccessivamente l’oggetto dell’analisi; «uomini», invece, suona più adeso alla concreta esperienza del vivere, soprattutto del vivere in relazione, in società. Cifra caratteristica di Bloch e delle Annales è infatti concepire l’insieme di individui come un sistema complesso composto da innumerevoli nodi interrelati fra loro: al mutare di uno di essi, o di una relazione fra i nodi, l’intero sistema tende a modificarsi, in alcuni casi in maniera marcata, in altri in maniera impercettibile.
Tempo: nell’Apologia, la riflessione sul tempo si intreccia profondamente con la riflessione sulla «causa». Bloch prende le distanze tanto da coloro i quali idolatrano l’origine – poiché, dice, essi confondono gli «inizi» con le «cause» (BLOCH, p. 24) – quanto da quelli che, all’opposto, idolatrano il presente: «cos’è, in effetti, il presente? Nell’infinito della durata, un punto minuscolo che sfugge» (BLOCH, p. 30).
Viene quindi proposta una nozione di tempo che è, di fatto, tutt’uno con la riflessione sulle modalità di trasmissione della cultura, trasmissione che chiama in causa da un lato l’idea di civilisation e dall’altra la «forza di inerzia tipica di tante creazioni sociali» (BLOCH, p. 33). È un tempo che cammina a velocità diverse a seconda del fenomeno preso in analisi e che trascina con sé il sistema complesso del presente, presentando compresenti diversi elementi, che arrivano da diversi passati:
Bisognerebbe ancora che gli scambi tra le generazioni avvenissero soltanto, per così dire, in fila indiana, non avendo i bimbi contatti con i loro avi se non con l’intermediario dei padri. […] A maggior ragione, lo scritto facilita grandemente, fra le generazioni, talvolta assai distanziate, questi passaggi di pensiero che costituiscono, propriamente, la continuità di una civilizzazione.
(BLOCH, p. 34)
Deriva da questa riflessione la famosa idea delle Annales secondi cui vi sono «generazioni lunghe o generazioni brevi» (BLOCH, p. 136) secondo la «cadenza più o meno viva di un movimento sociale», aspetti magari apparentemente scomparsi, ma in realtà solo dormienti.




2. L’osservazione storica
La testimonianza storica, lungi dall’essere evidente di per se stessa, è una traccia che deve essere indagata attivamente dal ricercatore. Una «traccia» è una testimonianza che «parla» soltanto in maniera frammentaria, enigmatica e solo se interrogata. Non solo, l’immagine rimanda a molteplici percorsi interpretativi che possono essere intrapresi o non essere intrapresi, e che possono essere diversi a seconda del questionario per mezzo del quale la traccia viene stimolata. Bloch sente il bisogno di utilizzare questa parola per discostarsi dall’idea – di nuovo – di matrice postivista di «fatto» e di «documento» evidenti, precisamente catalogabili e ordinabili.
La traccia diviene effettivo percorso solo se vi è un soggetto animato da specifici interessi e intenti che ne promuove l’indagine: «Ogni ricerca storica suppone, fin dai primi passi, che l’inchiesta abbia già una direzione […] mai in nessuna scienza l’osservazione passiva ha prodotto alcunché di fecondo» (BLOCH, p. 121).
L’idea di una traccia che non “parla direttamente” amplia enormemente la varietà di testimonianze che lo storiografo, nella sua ricerca, deve interrogare:
Tutto ciò che l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce, tutto ciò che sfiora può e deve fornire indicazioni su di lui.
(BLOCH, p. 52)
Siamo così approdati a una delle idee cardine che ha animato le Annales d’histoire économique et sociale: tutto è storia.
Se assumiamo, con Bloch, che ogni fenomeno, quando interrogato, possa diventare testimonianza, dobbiamo anche accettare almeno tre dirette conseguenze:
1. nessuno storiografo può avere sufficienti competenze in ogni campo della ricerca;
2. il problema del falso storico è esso stesso un falso problema;
3. è necessario fondare la ricerca innanzitutto su una seria critica della testimonianza-traccia.
Il primo punto viene affrontato in questo capitolo, mentre alla discussione sul falso storico e alla critica del documento Bloch dedica il terzo capitolo per intero.
Poiché, appunto, nessuno storiografo può avere sufficienti competenze in ogni campo della ricerca, Bloch si augura che sempre più si possa lavorare per équipe di specialisti delle varie discipline. Ciò, ovviamente, implica il preliminare e comune accordo sui fini e i metodi, atteggiamento mentale che, lascia capire Bloch, per molti studiosi è ancora molto al di là da venire (BLOCH, p. 54).




3. La critica
Il logico corollario delle idee espresse poco sopra è questo: se c’è scienza ci deve essere metodo, e il metodo storico si basa sul essenzialmente sul metodo critico. «Il vero progresso – scrive Bloch – è venuto il giorno in cui il dubbio è divenuto esaminatore: quando, in altri termini, si sono elaborate delle regole oggettive che permettono di operare una scelta» (BLOCH, p. 63). E cita alcuni nomi e date fondamentali: Papenbroeck 1628; Mabillon 1632; Simon 1638: sono i nomi di coloro ai quali si deve la fondazione della diplomatica e dell’esegesi, sono coloro che, secondo Bloch, hanno permesso alla storiografia di fondarsi su qualcosa di “solido”. Un’idea, questa di solidità, accostata e messa in parallelo a quella di scienza, quasi a ribadire la sua lontananza dalla storia come disciplina esclusivamente umanistica e intellettuale – si pensi a un Croce ad esempio -. Non è un caso se Bloch esplicita di non essere filosofo, disimpegnandosi, in questa maniera, da discussioni troppo sottili e filosofiche sulla prassi della storia: filosofo è un «titolo che m’è proibito pretendere», scrive (BLOCH, p. 17), limitando l’orizzonte ideale della sua Apologia a «memento d’un artigiano che ha sempre amato meditare sul proprio compito» (BLOCH, p. 18). Certo, un orizzonte impoverito sotto un certo punto di vista, ma al contempo una strategia argomentativa che svincola l’Apologie da una troppo impegnata querelle che l’avrebbe rallentata nel suo fervido gorgoglio di idee e spunti che si trovano pagina dopo pagina.
Come accennato in precedenza, secondo Bloch tutto è storia. Il falso lo si può trovare nell’intestazione e nella data di un documento, oppure nel contenuto; vi può essere il rimaneggiamento di tutto o di parte del contenuto, un rimaneggiamento deliberato oppure sornione. Non importa, ciò che importa è che per Bloch ogni plagio è portatore di significato: «Constatare l’inganno non basta – scrive Bloch – occorre svelarne i motivi […] soprattutto, una menzogna, in quanto tale, è, a suo modo, una testimonianza» (BLOCH, p. 72). Ma il depistaggio non sta solo nell’oggetto di osservazione storica. I condizionamenti possono sussistere tanto nell’oggetto osservato quanto nel soggetto che compie l’osservazione. Non solo il documento può mentire, è lo stesso studioso che può travisare: sarebbe utile, si augura Bloch, fondare e approfondire una psicologia della testimonianza, poiché «salvo poche eccezioni, non si vede, non si capisce bene se non ciò che ci si aspettava di capire» (BLOCH, p. 78).
Il tema della critica del documento e dell’elaborazione di un metodo porta con sé il tema centrale della comparazione. Centrale perché esso rimanda necessariamente ai rapporti fra la storiografia e le scienze positive che fanno della comparazione la loro bandiera: di nuovo, al rapporto fra le scienze umanistiche e le cosiddette “scienze dure”. Non solo, annidato nel discorso sulla comparazione vi è il tema della possibilità o meno della predittività in storia. Tutte le scienze tradizionalmente intese, infatti, comparando fra loro osservazioni di fenomeni da cui desumono dati raffrontabili sono in grado di prevedere – con precisione certa o probabilistica – l’andamento del medesimo fenomeno nel futuro. Anche la storia può farlo? Bloch risolve il dilemma mantenendo a un tempo le distanze dal positivismo tout court senza rinunciare all’idea di storia come sapere scientifico. Il suo procedimento è limpido: mantiene la possibilità di un ipotetico calcolo, ma fa saltare la possibilità concreta dell’applicazione di quel calcolo, sia per la complessità dei dati sia, soprattutto, per la loro natura:
come già aveva rilevato la filosofia del secolo XVIII, la maggioranza dei problemi della critica storica sono anche problemi di probabilità; tali però da costringere il più sottile calcolo a confessarsi incapace di risolverli. Non solo i dati vi sono straordinariamente complessi; ma per lo più rimangono costituzionalmente ribelli a ogni traduzione matematica.
(BLOCH, p. 98)
La complessità straordinaria dei fatti umani, secondo Bloch, non esclude il ragionamento per somiglianza. Introducendo l’idea di affinità tra i fatti o tra i documenti, e quindi escludendo quello di identità, il problema della comparazione diviene meno spinoso. Infatti, se anche gli eventi non si possono comparare matematicamente e non possono essere utilizzati in maniera predittiva, ma allo stesso essi possono almeno suggerire domande, proporre suggestioni. Domande sempre calzanti e urgenti, appunto perché nascono da affinità tra fatti passati.




4. L’analisi storica
Lo storico deve essere imparziale, chiaro. Ma lo deve essere come lo è un giudice o come lo è uno studioso? La risposta di Bloch propende per la seconda, perché non si può «condannare o assolvere senza schierarsi per una tavola di valori che non deriva più da alcuna scienza positiva» (BLOCH, p. 104). Se si giudicasse, la storia avrebbe certo una funzione morale, educativa e pedagogica, ma perderebbe il suo status di scienza. Certamente, in questo passo Bloch non va concettualmente fino in fondo alle premesse della “soggettività” inevitabilmente applicata da chi compie l’osservazione. Bloch non è un Croce, per intenderci. Lo storiografo francese preferisce accennare alla soggettività – che implica inevitabilmente un giudizio, non fosse altro un giudizio derivato dai valori più basilari e largamente accettati dalla civilizzazione in cui lo storico scrive – , ma evidentemente Bloch sfuma il tema della soggettività per salvare l’idea di “solidità”.
Si può invece, secondo l’annalista, giudicare secondo uno schema morale interno alla narrazione stessa. La bontà o meno di un’azione – la sua riuscita o il suo fallimento – può essere valutata secondo quelle che erano le aspettative degli attori coinvolti nella vicenda. Di qui ne deriva che lo storiografo dovrebbe avere dentro di sé una propensione, quella di comprendere.
«Comprendere – scrive Bloch – è un motto, non nascondiamocelo, carico di difficoltà, ma anche di speranze. Soprattutto, motto carico di amicizia» (BLOCH, p. 108).
Tale dichiarazione di intenti, questa lode alla storia come amicizia, così intrisa di fiducia, pronunciata nel pieno della guerra, nel mezzo dell’invasione, con un capitolo che stava per essere lasciato a metà a causa di un plotone di esecuzione che avrebbe posto fine alla sua vita, non è una affermazione di poco peso, è anzi centrale. Essa anticipa quest’altra, ancora più incisiva, anch’essa riferita all’amicizia e alla fratellanza, da prendere – credo – come definitiva risposta alla “domanda del soldato”:
La storia, purché rinunci alle sue false arie da arcangelo […] è una vasta esperienza delle varietà umane, un luogo di incontro fra gli uomini. La vita, come la scienza, ha tutto da guadagnare dal fatto che questo incontro sia fraterno.
(BLOCH p. 108)
Con queste parole, così dense, è come se Bloch lasciasse da parte per un attimo il problema «scientifico» che tanto lo angustiava per parlare – pare – a cuore aperto. Ma ecco che proprio ora, col richiamo alla fratellanza, all’amicizia, sgorga dirompente il parallelismo fra storia e vita. Questa associazione non è nuova: già Croce vi aveva insistito: la vera Storia è vita, scriveva l’italiano. Non solo, nel passaggio sopra citato di Bloch, richiama direttamente le parole di chiusura di un altro trattato, la Tristezza dello storico di Henri-Irénée Marrou, del 1939:
Conoscenza dell’uomo. Incontro con dell’altro. La storia come amicizia: sì, è tutto qui.
(MARROU, p. 73)
Siamo nel 1939. Pare che gli eventi in quell’anno non abbiano prestato orecchio al suggerimento di Marrou.
5. senza titolo
L’ultimo capitolo, solo iniziato, non concluso, resta sospeso sulle parole «le cause, in storia non più altrove, non si postulano. Si cercano». È un finale «pieno di bellezza», come ebbe a dire Le Goff nella Prefazione, un «libro incompiuto – continua il successore di Bloch – che è un completo atto di storia».
«La realtà ci presenta una quantità quasi infinita di linee di forza, tutte convergenti verso un medesimo fenomeno. La scelta che noi compiamo fra di esse […] non è mai altro che una scelta» (BLOCH p. 140).
Bibliografia
- BLOCH 1998: M. Bloch, Apologia della storia, Einaudi, Torino 1998. I ed. 1949-1993.
- CARR 2000: E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino 2000. I ed. 1961.
- CROCE 2001: B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Adelphi, Milano 2011. I ed. 1917.
- MARROU 1999: H. I. Marrou, Tristezza dello storico, Morcelliana editrice, Brescia 1999. I ed. 1939.
Fine dell’articolo
Autore: Alessandro Ardigò
Revisione e cura: Arianna Sardella, Mario Taccone
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