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Studi di cinema e media a scuola. Il punto della situazione in Italia e in America

1. Cinema e media studies in Italia
Le prime teorie del cinema risalgono al 1895: è del 1911 il saggio La nascita della sesta arte, del critico Ricciotto Canudo, lo stesso che nel 1912 definisce il cinema la settima arte. Il termine filmologia, dal francese filmologie, come studio del cinema e dei film (del 1946 è la fondazione dell’Association pour la recherete filmologie della Sorbona), compare nel 1948 (DE MAURO 2000). Gli studi di teoria e critica del cinema si moltiplicano negli anni ’40 e ’50, fino alla nascita della Semiologia del cinema, negli anni ’60 (ENCICLOPEDIA DEL CINEMA 2003). I cinema studies – o film studies – comprendono sia lo studio del film come prodotto storico e artistico, con un approccio storico-filologico, della distribuzione (nei suoi aspetti percettivi, psicologici, sociologici etc.) e della produzione (materiali, montaggio, regia, luci, musica, recitazione etc.).
Leonardo Cabrini, studioso prossimo ad addottorarsi sulla cinefilia italiana dal 1975 al 2000 presso la Indiana University, spiega che gli studi di cinema oggi sono considerati parte del più ampio settore dei media studies. Infatti, se inizialmente si parlava esclusivamente di “cinema studies”, si è poi cominciato a parlare di “cinema and media”, finché, negli ultimi anni, i media hanno guadagnato il posto centrale, facendo perdere terreno allo studio dei film in senso stretto. I filoni di ricerca attualmente più diffusi cercano di dare risposta a questioni come l’esportazione e circolazione del prodotto-film; l’archeologia del cinema, dallo studio dei materiali di produzione, al restauro dei film muti; la produzione filmica non destinata alle sale come il cinema industriale (film educativi per uso interno). Nei media studies l’approccio è principalmente intersezionale, spesso legato anche a questioni “militanti”: genere, identità, ecologia.

Lina Wertmuller. Immagine reperibile a questa URL
Lina Wertmuller. Immagine reperibile a questa URL

2. Cinema e didattica nelle Università italiane
I cinema studies sono ormai una disciplina stabile, presente nelle Università italiane dagli anni ’70, a partire dalla fondazione del DAMS di Bologna da parte di Umberto Eco. Nel panorama accademico odierno, gli studi di cinema (settore disciplinare L-ART/06) e i corsi di laurea con concentrazione sul cinema (classe L-3 Discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda) sono offerti dalle Università Orientale di Napoli e Roma La Sapienza, dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dalla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano e dai DAMS di Bologna, Roma Tre, Torino, Padova, Brescia, Firenze, Imperia, Palermo, Salento, Udine. Lauree Magistrali della classe LM-65 “Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale” sono offerte da un gran numero di atenei su tutto il territorio nazionale (per una lista si veda: http://www.cestor.it/atenei/lm065.htm).

Liliana Cavani. Immagine reperibile a questa URL
Liliana Cavani. Fotografie di scena. L’immagine è a scopo didattico e non si intende violare alcun diritto d’autore.

3. Il cinema italiano nelle Università americane
Mentre tutti comprendono benissimo che in un ateneo straniero si studino la storia, la letteratura o l’arte italiane (in fin dei conti sono il nostro orgoglio!), le espressioni stupefatte si moltiplicano alla notizia che all’estero si studino anche la lingua e il cinema italiano. Come insegnante di italiano L2 negli Stati Uniti ho dovuto rispondere molte volte a domande come “davvero si studia italiano in America?” e “Perché? A cosa serve studiare italiano?” e ne ho parlato anche qui.

Questo stupore è dato dal fatto che, da un lato la lingua italiana non viene considerata abbastanza “utile”, dall’altro il cinema non viene percepito come parte di quella Cultura Italiana (con la maiuscola) di cui tutti ci sentiamo così orgogliosi.
Vediamo quindi qual è la situazione degli studi di cinema italiano negli Stati Uniti attraverso le parole di alcuni esperti: Leonardo Cabrini (PhD Candidate presso la Indiana University Bloomington), Edward Bowen (Lecturer presso la University of Kansas), Tania Convertini (Research Assistant Professor e Direttrice del programma di lingua italiana presso il Dartmouth College), Flavia Laviosa (Senior Lecturer presso il Weelesley College e direttrice del Journal of Italian Cinema & Media Studies).
Negli Stati Uniti, la maggior parte dei/delle docenti di cinema italiano provengono dagli studi italianistici più che dal settore media e i corsi sul cinema sono per lo più inseriti in percorsi di lingua e cultura italiane.
Se negli anni ’80-90 – spiega Bowen – il settore era ancora elitario e si potevano trovare quasi esclusivamente corsi incentrati sui grandi registi, a partire dai primi anni 2000 il film italiano ha iniziato a far parte dei corsi di lingua e cultura. Le studiose e gli studiosi si sono interrogati spesso sulla necessità di avvicinare lo studio del cinema italiano ai media studies e molti, nell’ultimo decennio, hanno risposto a questa richiesta, con ricerche su produzione e distribuzione cinematografica, o con studi specifici sul documentario, sul cinema politico, o su altri tipi di media, come serie tv o animazione. A questo proposito, Cabrini menziona le ricerche di Ellen Neremberg e Nicoletta Marini-Maio sulle Winx [Ndr. serie animata italiana]. Ma a parte alcuni casi, vista la formazione principalmente linguistica e storico letteraria delle e dei docenti, la tendenza resta quella di analizzare i film con parametri più vicini a quelli della letteratura (trama, personaggi, contesto storico, fonti) che all’analisi tecnica (recitazione, regia, luci, inquadrature, materiali etc.).

“È difficile mantenere la concentrazione sulla costruzione del vocabolario e delle competenze di lettura, scrittura e presentazione, dedicando anche attenzione al linguaggio del cinema, allo stile del film, al contesto storico e sociale. Riuscire ad inserire tutto in un singolo corso è arduo” (Bowen).
“I manuali non aiutano. Sequenze, ad esempio, è un ottimo libro di testo. Ma come manuale di lingua e cultura, non di cinema. Non insegna la storia del cinema né il suo linguaggio” (Cabrini).

Le attività di analisi del film normalmente proposte nei corsi e nei manuali di lingua e cultura non si distaccano dalle domande di comprensione sulla trama, dal filling the blank sul vocabolario o dal quiz a scelta multipla sulla grammatica.
Sull’utilizzo dei film e l’approccio metodologico, sostiene Bowen, molto dipende dall’istituzione e dal tipo di corso di studi offerto. In un ateneo che punta sulla ricerca (Research 1 Institution), offrendo programmi di Master (Laurea magistrale) e Dottorato in Italian studies, in cui cioè le studentesse e gli studenti possono specializzarsi (con un Major) in Italiano, la/il docente ha maggior libertà d’azione. Nelle università che hanno come principale missione l’insegnamento rispetto alla ricerca, che offrono solo singoli corsi di lingua italiana e non un vero e proprio corso di studi in Italianistica, o che offrono solo la possibilità di scegliere l’Italiano come seconda specializzazione (Minor), le/i docenti dovranno necessariamente optare per percorsi meno approfonditi.
Convertini aggiunge che l’approccio più diffuso è ancora quello dei corsi survey, cioè introduttivi, in cui si copre tutto il percorso del cinema italiano, in senso diacronico, senza soffermarsi su un particolare autore, film o tema. In questi corsi manca una vera e propria analisi estetica dei film, che viene presentato in prospettiva storica e culturale più che nei suoi aspetti tecnici. A differenza di altre discipline, inoltre, per il cinema italiano è difficile operare un vero e proprio cross-listing tra dipartimenti di italiano e di media studies (cioè insegnamenti offerti da più dipartimenti in collaborazione). Ciò accade, oltre che per una serie di ragioni di ordine pratico (non ultimo la lingua in cui è offerto il corso), principalmente perché le/i docenti di Italian studies, sono spesso privi del bagaglio tecnico necessario. Se è vero che alcune studiose e studiosi di media studies non hanno una conoscenza approfondita del cinema italiano, quasi tutti conoscono il Neorealismo, e molti, mi ricorda Cabrini, hanno familiarità con il canone del cinema italiano, con i grandi maestri degli anni ’60-70 (Bertolucci, Bellocchio, Pasolini, Fellini, Ferreri, etc.) e alcuni autori contemporanei (Sorrentino, Garrone, Guadagnino, Sollima, per citarne alcuni).
“Il cinema italiano ha perso la reputazione che aveva un tempo” commenta Laviosa “quindi non sorprende che sia meno studiato dai non italiani”.

Non mancano però eccezioni a questa regola. Laviosa, infatti, insegna sia per il Dipartimento di Italian studies che per il Cinema and Media Studies Program, tenendo corsi in inglese per entrambi i dipartimenti (cross-listed), come Introduction to Cinema and Media Studies, Italian cinema, Italian Women Directors, e Transnational Journeys in European Women’s Filmmaking. Questi corsi sono seguiti da studentesse e studenti di varie provenienze, come i settori degli studi di genere, delle arti, del teatro o, naturalmente, di Cinema e media. Secondo Laviosa è fondamentale uscire dal recinto del cinema nazionale e offrire una prospettiva più ampia, cross-culturale e interdisciplinare. “Studentesse e studenti di diversa formazione leggono lo stesso film in maniera assolutamente differente” spiega Laviosa, quindi offrire corsi in inglese, in collaborazione con altri dipartimenti e aperti agli iscritti dei più diversi corsi di laurea, non è solo utile per attirare nuove iscrizioni e portare nuovi estimatori alla cultura italiana, ma è anche un modo per ampliare e arricchire il raggio del dibattito.
“Nel settore dei cinema e media studies – prosegue Laviosa – si inizia a guardare con sospetto al “cinema nazionale”, spesso considerato troppo limitante se non addirittura provinciale”. Dobbiamo quindi guardare oltre la prospettiva nazionale, accogliere gli apporti di altre discipline e altre prospettive culturali, “incoraggiare i nostri studenti e le nostre studentesse a seguire corsi in altri dipartimenti, formare docenti di italiano capaci di “sconfinare” in altri settori per non rimanere intrappolati nella dimensione italiana”.

Tirando le fila della situazione americana, Convertini solleva un interrogativo importante: “dobbiamo domandarci qual è il posto del cinema nel curriculum di italiano”. È un modo per rendere più attraente la cultura italiana e aumentare il numero di iscritte e iscritti o qualcosa di più? “Diciamo sempre che nessuno può specializzarsi in Italiano senza conoscere Dante. Questo vale anche per il cinema? Possiamo affermare che nessuno può pensare di avere un major in Italiano senza conoscere la storia del cinema italiano e il linguaggio cinematografico? In fin dei conti il cinema ha rivoluzionato il linguaggio; grazie al cinema il nostro modo di comunicare è cambiato. Quindi un’educazione all’immagine che permetta di decodificare anche questo tipo di messaggi è senz’altro necessaria, ma questa necessità non viene definita chiaramente”.

Alla solita domanda su quale tipo di film o di tema risulti più attraente per le studentesse e gli studenti americani, Convertini mi fa notare come il problema non sia tanto trovare un filone o un’opera specifica, ma “come rendere rilevanti i contenuti che insegniamo”. Il punto fondamentale è spiegare come un particolare tema affrontato all’interno di un percorso diacronico possa entrare nella vita delle studentesse e degli studenti e dare loro degli strumenti critici per comprendere appieno, entrare in relazione con le opere, trovando anche nessi con il presente. Capire l’attualità di un film è ciò che crea interesse e rende il corso rilevante”.

Tra un corso completamente tecnico, come sarebbe quello offerto da un dipartimento di media studies, e uno che introduce lo sviluppo storico del cinema e il canone cinematografico, come sarebbe quello normalmente offerto da un programma di italiano, è possibile mediare. Convertini mi parla infatti di un suo corso su cinema e infanzia in cui, pur muovendosi sul piano diacronico e senza discostarsi dalla tipologia survey, offre da un lato un filo conduttore, la rappresentazione dell’infanzia, dall’altro introduce il linguaggio e gli strumenti tecnici (il vocabolario, nozioni di base su luci, movimenti di camera, inquadrature, tagli, suoni, etc) per seguirlo e analizzarlo, e, con l’aiuto di letture interdisciplinari, discuterlo secondo vari punti di vista e prospettive disciplinari. Le alunne e gli alunni escono dal corso con un nuovo interesse per il cinema e per la cultura italiana e la consapevolezza di aver contribuito alla discussione mettendo a frutto le loro esperienze pregresse in diverse discipline.

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4. Gli studi di cinema nella scuola secondaria italiana
Nonostante i vecchi programmi ministeriali di “Educazione tecnica” delle scuole secondarie di primo grado (ex “medie”) comprendessero l’educazione filmica e nonostante i molteplici tentativi di farne una disciplina a tutti gli effetti nelle scuole di ogni ordine e grado – dall’intervento di Roberto Rossellini del 1963, alle sperimentazioni di “cinema fatto dai bambini” degli anni ’70, al “Piano Nazionale per la Didattica del Cinema e del Linguaggio Audiovisivo” degli anni ’90 – e nonostante la legge 220 del 2016 “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo”, volta a promuovere la media literacy, lo studio di cinema e media non fa parte del normale percorso di istruzione primaria e secondaria in Italia. Unica eccezione le “Discipline audiovisive” (classe di concorso A07), “Tecnologie e tecniche delle comunicazioni multimediali” (A061), presenti, le prime nei Licei artistici a indirizzo “Audiovisivo Multimediale” (istituiti nel 2005), le seconde negli Istituti professionali con l’opzione “Produzioni audiovisive” e negli Istituti tecnici a indirizzo “Grafica e comunicazione”.

Nonostante ciò, le potenzialità didattiche dei media, sono ben note a ogni docente. Film e altri media sono un utilissimo strumento per sensibilizzare nei confronti di problematiche sociali (questioni ambientali, discriminazione, bullismo etc.), o per incoraggiare il confronto e il dibattito in classe, oltre che facilitatori nell’acquisizione di nozioni storiche o culturali e vengono comunemente impiegati a questo scopo. Ma questo, come già notato, è un modo per “sfruttare” i media piegandoli a esigenze didattiche “altre”, non per studiarli come prodotti artistici autonomi. E, come dice Cabrini, “il punto non è far vedere Decameron di Pasolini mentre si studia Boccaccio, ma insegnare come leggere il film, come guardare al cinema”. Parole che riecheggiano la definizione di Alfred Hitchcok: “il cinema non è il cosa, è il come”.

5. Conclusioni
Quali insegnamenti trarre da questo confronto internazionale?
Innanzi tutto la questione del posto del cinema nell’istruzione. Possiamo davvero permetterci di sottovalutare o ignorare l’arte che ha cambiato in modo così profondo il nostro linguaggio? Tutti sappiamo quanto è arduo attrarre l’attenzione degli studenti su discipline e questioni che loro sentono lontane. Il focus sul linguaggio audiovisivo, l’educazione all’analisi critica dell’immagine, rappresentano di certo un modo di connettere i contenuti appresi in classe con l’esperienza di una quotidianità sempre più immersa in una realtà di immagini in movimento. In un mondo in cui messaggi audiovisivi autoprodotti (messaggi vocali e videomessaggi, vlog, dirette facebook e instagram, canali youtube etc.) sono ormai la principale modalità espressiva e di interazione sociale, in cui l’informazione è sempre meno scritta e sempre più visuale, sviluppare il senso critico dei/delle studenti non significa solo renderli studenti migliori e più capaci di analizzare testi storici e letterari, ma renderli cittadini e cittadine migliori, meno vulnerabili di fronte a informazioni false o fuorvianti, meno influenzabili, più capaci di sottoporre a vaglio critico gli stimoli visivi dai quali sono bombardati ogni giorno, in definitiva più capaci di sviluppare un pensiero autonomo e maturare valutazioni ponderate.

Quando i colleghi americani parlano di mancanza di collaborazioni interdipartimentali (crosslisting) e di insegnanti formati principalmente in letteratura e didattica dell’Italiano L2, inoltre, fanno emergere una tendenza, confermata, nell’esperienza di chi scrive, dallo stupore generale di fronte al fatto che il cinema possa costituire una disciplina di studi. Una tendenza diffusa nell’accademia ma forse nella stessa cultura italiana (come popolo italiano), a guardare con sospetto tutto ciò che è nuovo, tutto ciò che non è “il canone”, che non è “l’aureo passato”. Una tendenza per la quale Modigliani è interessante, ma vuoi mettere con Raffello. Montale ha vinto un Nobel, certo, ma non è Dante. Parafrasando Laviosa, viviamo principalmente di celebrazione e rimpianto delle glorie passate (Fellini, De Sica, Morricone…), piuttosto che focalizzarci sulle potenzialità presenti. L’accademica tende a sottovalutare lo studio di cinema o addirittura a non considerarlo una disciplina con una sua dignità, una sua storia, un suo canone, un suo linguaggio e a non considerarne appieno le sue applicazioni e potenzialità didattiche. Una propensione accademica questa che, spesso, va di pari passo con la resistenza all’aprire le discipline e la metodologia “canoniche” ai contributi di discipline e approcci altri.

La lezione che possiamo imparare dall’esperienza americana descritta poco sopra, quindi, è che, in una scuola che sempre più si definisce modulare e multimediale, la prospettiva interdisciplinare e cross-culturale rappresenta un grande arricchimento. Come notano Laviosa e Convertini, la scuola non deve limitarsi alla prospettiva locale o nazionale, ma aprirsi al confronto interculturale, né deve limitarsi a una visione unidirezionale dell’insegnamento, ma valorizzare il contributo degli studenti in un’ottica circolare, in cui non solo il/la docente ma anche gli/le studenti veicolano contenuti nuovi. L’inclusione di cinema e media come strumenti didattici, e dell’analisi del linguaggio filmico e dei media come approccio, possono certamente aiutarci a procedere in questa direzione. Molto spesso, infatti, le nostre studentesse e i nostri studenti saranno più aggiornati di noi rispetto ai nuovi media e potranno collaborare attivamente alla didattica portando nuovi contributi e prospettive.
Lo studio della storia, della letteratura e delle altre materie “canoniche”, potrà solo beneficiare dagli apporti di altre dcipline, come le arti e i media, dai contributi degli esperti di questi settori, con i loro linguaggi e le loro prospettive. Accostare all’analisi dei vari tipi di testo letterario anche testi altri, come il fumetto o il film, da esaminare con specifici linguaggi tecnici, potrà solo arricchire il vocabolario e le competenze analitiche e critiche dei/delle discenti.

Per raggiungere questi obiettivi, naturalmente, sarà necessario, innanzitutto, dare alle e agli insegnanti le conoscenze tecniche di base. Nessuno si improvvisa insegnante di cinema. Il fatto di essere in grado di analizzare efficacemente un testo scritto non ci rende automaticamente capaci di analizzare un testo filmico. Il primo consiglio alle colleghe e ai colleghi è dunque, banalmente, quello di avvicinarsi alla storia e ai concetti base dell’analisi dei media. Non si tratterà di conseguire una nuova laurea o specializzazione, ma semplicemente di leggere un buon manuale (si vedano le indicazioni bibliografiche) o seguire un buon corso di formazione, anche breve (si vedano i suggerimenti più avanti). Per quanto riguarda i consigli didattici, non è realistico proporre qui grandi azioni riformatrici volte a inserire il cinema nel curriculum scolastico; né indicare un nuovo progetto o sperimentazione, molti sono stati già proposti e avviati (v. infra).
La didattica, oggi, è organizzata sempre meno in vasti programmi e sempre più in moduli singoli, sviluppati attorno a specifiche competenze, in cui molto è lasciato all’iniziativa delle/dei docenti. In questo sistema modulare, il cinema può, realisticamente, trovare un suo spazio.
Molti libri di testo per la scuola secondaria accostano alle letture elementi multimediali, materiali e attività integrative digitali, fornendo spunti interessanti. Diversi sono anche i progetti avviati in varie scuole con la collaborazione di associazioni di professionisti di cinema e media che offrono materiali online, laboratori didattici e corsi di formazione (per entrambi si vedano gli esempi riportati in seguito). Una volta acquisita una certa familiarità con la storia e il linguaggio del cinema e i concetti di base dell’analisi dei media, ogni docente potrà utilizzare i materiali cartacei e digitali disponibili con maggior consapevolezza ed efficacia, per progettare specifiche attività e moduli da inserire nella sua programmazione didattica.

Fine dell’articolo

Bibliografia:

  • Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da Tullio De Mauro, Torino, UTET, 2000, s. v. filmologia.
  • Enciclopedia del cinema, Treccani, 2003, s. v. filmologia http://www.treccani.it/enciclopedia/filmologia_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/ e Semiologia del cinema http://www.treccani.it/enciclopedia/semiologia-del-cinema_(Enciclopedia-del-Cinema)/
  • Mariani, Andrea, Cinema e scuola: nuove prospettive. Prolusione di Roberto Rossellini, in “Rivista del cinematografo”, settembre-ottobre 1963, pp. 392-395/405-407, in “8 ½. Numeri, visioni e prospettive del cinema italiano”, 32, 2017, p. 68, http://www.8-mezzo.it/magazine/
  • https://www.consultacinema.org/
  • https://www.cinematografo.it/

Storia del cinema

  • Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano (1905-2003), Einaudi, 2003
  • Il cinema neorealista italiano: Storia economica, politica e culturale, Laterza, 2009
  • Il cinema italiano contemporaneo: Da “La dolce vita” a “Centochiodi”, Laterza, 2015
  • Gianni Rondolino, Dario Tomasi, Manuale di storia del cinema, UTET, 2014
  • Giulia Carluccio, Luca Malavasi, Federica Villa, Il cinema. percorsi storici e questioni teoriche, Carocci, 2015
  • Alberto Pezzotta, La critica cinematografica, Carocci, 2018
  • Alessia Cervini, Il cinema del nuovo millennio. Geografie, forme, autori, Carocci, 2020

Storia della disciplina

  • Dallo schermo alla cattedra. La nascita dell’insegnamento universitario del cinema e dell’audiovisivo in Italia, a cura di David Bruni, Antioco Floris, Massimo Locatelli, Simone Venturini, Carocci, 2016

Linguaggio audiovisivo, alfabetizzazione media

  • Federico Casetti, Francesco Di Chio, Analisi del film, Bompiani, 1990
  • Gianni Rondolino, Dario Tomasi, Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi, UTET, 2011
  • Michele Corsi, Corso di linguaggio audiovisivo e multimediale. Cinema, televisione, web video, Hoepli, 2017 (si veda anche il sito dell’autore per materiali didattici https://www.cinescuola.it/didattica-1/)
  • Luca Malavasi, Il linguaggio del cinema, Pearson, 2019
  • David Buckingham, Un manifesto per la media education, Mondadori Education, 2020
  • Marco Gui, Benessere digitale a scuola e a casa. Un percorso di educazione ai media nella connessione permanente, Mondadori Education, 2020.
  • La bottega delle narrazioni. Letteratura, televisione, cinema, pubblicità, a cura di Stefano Calabrese, Giorgio Grignaffini, Carocci, 2020

Cinema e Italiano L2

  • Pierangela Diadori, Stefania Carpiceci, Giuseppe Caruso, Insegnare italiano L2 con il cinema, Carocci, 2020
  • Cristina Pausini and Carmen Merolla, Interpretazioni. Italian Language and Culture through Film, Georgetown University Press, 2020
  • Yahis Martari, Insegnare italiano L2 con i mass media, Carocci, 2019

Cinema e didattica

  • Marina Medi, Il cinema per educare all’intercultura, EMI, 2007
  • Il cinema tra i banchi di scuola, a cura di Sara Cortellazzo, Massimo Quaglia, CELID, 2007
  • Alain Bergala, L’ipotesi cinema. Piccolo trattato di educazione al cinema nella scuola e non solo, Cineteca Bologna, 2008
  • Andrea Poggiali, Cineducare. Un viaggio nell’identità. Percorsi formativi attraverso l’immaginario cinematografico, Altromondo, 2009
  • Cinema a scuola. 50 film per bambini e adolescenti, a cura di Alberto Agosti, Mario Guidorizzi, Centro Studi Erickson, 2011
  • Edoardo Viganò Dario, Cari maestri. Da Susanne Bier a Gianni Amelio i registi si interrogano sull’importanza dell’educazione, Cittadella, 2012
  • Mariolina Diana, Michele Raga, Cinema e scuola. I film come strumenti di didattica, La Scuola, 2014
  • Fernand Deligny, Il gesto e l’ambiente. Cinema e pedagogia, a cura di Elisa Binda, Pellegrini, 2017
  • Gabriele Crupi, Formazione al cinema. Dalla «film literacy» all’utilizzo dell’audiovisivo nell’educazione alla cittadinanza, Progetto Accademia, 2018
  • Rosa De Martino, La capacità di emozionarsi tra la realtà del cinema e il mondo della pedagogia, Aracne, 2020.

Manuali per la scuola secondaria di I grado

  • Mazzeo, A. Pino, M. Poisa, N. Terzoli, L. Vadagnini, Sentieri d’inchiostro, La Scuola, 2017, sezioni Libri e film.
  • Pellizzi, V. Novembri, Mursia Scuola, Come scintille, 2018, sezione Gli imperdibili.

Manuali per il biennio

  • Biglia, P. Manfredi, A. Terrile, Il più bello dei mari, Paravia, 2014, inserto Leggere i film.
  • Fontana, L. Forte, M. T. Talice, Una vita da lettori, Zanichelli, 2018, sezione Buio in sala.
  • Galli, M. L. Quinizio, Felici approdi, Einaudi Scuola, 2016, una sezione Il testo cinematografico.

Manuali per il triennio

  • Armellini, A. Colombo, L. Bosi, M. Marchesini, Con altri occhi, Zanichelli, 2019; R. Carnero, G. Iannaccone, Il tesoro della letteratura, Giunti, 2019 e G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, I classici nostri contemporanei, Paravia, 2019 offrono suggerimenti filmici.
  • Perego, E. Ghislanzoni, S. Morsan, Un libro sogna, Zanichelli, 2019, una unità sul cinema e una sezione Narrare con altri linguaggi, su film e fumetto.

Iniziative e programmi ministeriali

Progetti, materiali didattici, formazione

Autrice: Marianna Orsi
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