Nella libreria anche lo spazio conta: «Pochi libri sono messi in costa; la maggior parte è posata in piano sul bancone e sui pochi e bassi scaffali»
Pisogne (Brescia) – Giacomo Maria Corna Pellegrini Spandre nacque nel 1827 a Pisogne, paese al vertice settentrionale del lago d’Iseo, sulla sponda bresciana. Di famiglia importante, fu vescovo di Brescia per trent’anni, dal 1883 alla morte, perciò a lui è intitolata la piazza del paese: a est torreggia la chiesa parrocchiale, dov’è sepolto il prelato; a ovest la ferrovia Brescia-Iseo-Edolo e, poco più in là, il lago. Proprio sulla piazza, al piano terra di un edificio d’angolo, c’è la libreria Puntoacapo, che i coniugi Andrea Musati e Moira Bormiolini gestiscono dal 2011.
Pisogne, al limite meridionale della Valcamonica: la piazza principale vista dalla libreria Puntoacapo
Il 13 marzo il titolare della libreria Puntoacapo aveva scritto in un post che i libri sono «un bene essenziale», tanto più nell’isolamento dovuto alla pandemia, e aveva proposto di continuare a cercare e vendere (per posta) libri a prezzo di costo, destinando il guadagno agli ospedali travolti dalla Covid-19.
Incuriositi, noi di RadiciDigitali.eu siamo andati a farci raccontare da Andrea e Moira cosa significa gestire una libreria in un paesino della Valcamonica. Del resto capita spesso, soprattutto in provincia, che un insegnante o una classe abbiano bisogno di strumenti culturali che non trovano o non raggiungono facilmente.
Pisogne (BS): piazza vescovo Corna Pellegrini vista dalla chiesa parrocchiale; sulla sinistra le tre vetrine della libreria Puntoacapo
Intervista a cura di Narno Pinotti.
[Narno Pinotti] Per chi non è lombardo: dov’è Pisogne?
[Andrea Musati] Pisogne ha circa ottomila abitanti, sparsi però in parecchie località e su quasi 50 kmq, il che ne fa uno dei comuni più estesi della provincia di Brescia; si trova all’inizio della Valcamonica, delimitata da due catene di monti grosso modo parallele. Nella frazione di Toline però il Corno dei Trenta passi e il monte Guglielmo piegano verso ovest fino al lago d’Iseo, chiudendo la valle e segnando il confine con il Sebino.
La cesura non è solo geografica: a Marone, Sale Marasino, Sulzano il clima è più mite di uno o due gradi, tanto che su quella costa ha una certa tradizione la coltura dell’olivo, che qui invece è arrivata da poco tempo, forse anche grazie al surriscaldamento globale. Pisogne è invece più piovosa e i pendii dei suoi monti sono dominati dai castagni.
A lungo il Corno dei Trenta passi, che precipita nel lago, è stato anche una cesura nelle comunicazioni: l’antica via Valeriana dei Romani passava a est del monte, nell’interno, e solo nel 1966 fu aperta la strada costiera; dal 2003 la nuova statale 510 perfora il Corno con una lunga galleria. Perciò per secoli il mezzo più semplice per aggirarlo è stata la barca.
Andrea consiglia: Matteo Melchiorre, Storia di alberi e della loro terra, Marsilio 2017
[NP] E che cos’è Pisogne dal punto di vista economico e sociale?
[AM] La nostra storia recente è stata plasmata dall’industria, soprattutto del ferro e dell’ottone. La bassa e media valle Camonica è ricca di vene ferrose, e le miniere sono state sfruttate fino ai primi anni ’80; Bienno era famosa per i magli.
Pisogne è stata quindi soprattutto una zona operaia: nel 1968 fu organizzata una manifestazione dagli alunni delle terze medie; negli anni Settanta c’era una sezione di Lotta Continua, e il Pci era così forte che si parlava di «zona franca» preclusa ai neofascisti.
Naturalmente oggi molto è cambiato, ma qui rimangono industrie importanti come la Iseo serrature e la BraWo a Gratacàsolo, e ci sono molti terzisti.
“Dalla stazione di Pisogne si dirama un binario in disuso che porta all’imbarcadero, da dove le chiatte trasportavano persone, animali e merci fino a Paratico e alla ferrovia della valle dell’Oglio. Poi le miniere si sono esaurite, e soprattutto estrarre qui il ferro era diventato più costoso che importarlo.”
Dalla fine degli anni ’90 l’economia si è un po’ ripresa, soprattutto grazie alla ristorazione e a un po’ di turismo, che però non è mai decollato davvero.
All’esaurirsi delle miniere e della siderurgia si è accompagnato il declino di Pisogne stessa, e l’eroina ha fatto il resto. Questa piazza, ora pavimentata per i dehors di bar e ristoranti, fino alla fine degli anni ’90 era un parcheggio asfaltato. Il muretto che delimita i binari era allora per noi ragazzi (classe 1981) «il muro del pianto»: ci trovavamo lì e vedevamo davanti a noi il vuoto di opportunità e prospettive.
A Pisogne c’è anche, in agosto, la seconda delle tre fiere annuali della valle Camonica dedicate all’artigianato di qualità: ci precede quella di Pescarzo, ora un po’ in declino, e ci segue Bienno.
Nella nostra libreria si costruisce parte della fiera: laboratori per bambini, spettacoli di circo-teatro, il circo El Grito. Essa ha anche un legame con la storia di Pisogne. In via San Marco, fra il 1977 e il 1988 ci fu una una libreria cooperativa gestita da militanti del Pci. Un giovane rilevò poi lo spazio e vi aprì la libreria Punto d’incontro, che chiuse alla fine del 2010: il 2 giugno del 2011 abbiamo aperto Puntoacapo nello stesso locale, anche se poi ci siamo spostati di pochi metri nella sede attuale.
[NP] Per descrivere la pianura pedemontana da Varese a Brescia, i geografi parlano di «città diffusa»: una provincia densamente abitata su cui sono spalmati la ricchezza, i servizi e i consumi propri della città. È così? Che cosa ne pensa un libraio?
[AM] Ho studiato e vissuto a Torino, Prato e Firenze, ma nel 2005 mia moglie Moira e io abbiamo deciso di tornare qui, proprio per nostalgia di questo lago e di queste montagne: l’Italia è fatta di province, ciascuna diversa a modo suo, e diversa dalla città su cui gravita.
Pisogne peraltro non ha mai investito sull’istruzione: Lovere, che sta sull’altra riva del Sebino, ha solo cinquemila abitanti, ma scuole superiori di tutti gli indirizzi; qui, dopo le scuole elementari e medie, solo un Ipsia per elettricisti e un istituto turistico.
Per tornare alla domanda: non penso si possa parlare di uno stile di vita comune né ovunque simile alla città, sebbene molti consumi, anche culturali, siano standard.
Nel nostro piccolo cerchiamo di offrire cultura nel lembo di provincia che conosciamo, nei modi che ci sembrano adatti: letture, manifestazioni, presentazioni, spettacoli ibridi fra teatro e libri. Lo facciamo per stimolare le persone di qui, non per imitare la città o attirare il cittadino, che gode di mille altre offerte culturali.
Cerchiamo insomma di ascoltare e stimolare i bisogni culturali che ci sono qui, e che non sono quelli della città, né di un altro tipo di provincia. Per questo non facciamo niente in luglio e agosto: lavoriamo soprattutto per chi vive qui. Non sarebbe serio farlo per persone che non riusciamo a conoscere.
Andrea consiglia: I dimezzati. Storie vere di uomini e donne a metà, CTRL 2020
[NP] All’inizio del lockdown hai proposto di vendere libri a prezzo di costo, destinando il guadagno agli ospedali contro la Covid-19. Com’è andata?
[AM] Benissimo. Molti vecchi clienti ci hanno sostenuto, e ne sono arrivati parecchi nuovi. Il post è stato ripreso solo dal blog Giap di Wu Ming Foundation, eppure è circolato molto: molti sono stati d’accordo con noi che il libro sia un bene essenziale.
In tanti ci hanno scritto per dirci: «Tenetevi il margine di guadagno: è il vostro mestiere e lo fate bene».
[NP] Ti definisci «libraio indipendente»: che cosa significa per te?
[AM] L’indipendenza è una scelta che sta all’origine della libreria Puntoacapo e che rinnoviamo ogni giorno in modi diversi. Fin dall’apertura, nel 2011, i distributori si stupivano di noi, perché non gli dicevamo: «Portami quello che è nelle classifiche o ha vinto dei premi letterari».
È ancora così: siccome in una libreria fisica non potrà mai entrare tutto ciò che c’è in Amazon, vogliamo che ci entri solo ciò che ci convince. E ci convince prima di tutto se lo abbiamo letto noi stessi, o se ne abbiamo sentito parlare bene da amici e clienti fidati, o se l’autore è venuto a presentarsi qui da noi: è così che abbiamo conosciuto e fatto conoscere tanti scrittori, come Wu Ming 1, che è diventato un amico e presto verrà qui a presentare qualcosa che sta fra lo spin off della Macchina del vento e il suo nuovo romanzo.
Se un libro entra nella nostra libreria, ci entra per restare e per essere venduto, quando troverà la persona giusta. Facciamo pochissimi resi, non ci occupiamo di libri mainstream e non abbiamo quasi magazzino: teniamo quasi solo le cose a cui confidiamo di trovare un lettore. Certo, il cliente deve essere disposto a farsi consigliare e ad aspettare che il libro arrivi: non ha senso per noi gareggiare in rapidità con Amazon.
Essere indipendenti significa basarsi sul passaparola e sull’opera di convincimento. Non abbiamo quasi social network, non cerchiamo sponsor, non seminiamo spam, non facciamo volantinaggio né pubblicità intensiva, men che meno su Facebook.
[NP] Puntoacapo quindi cerca di definire, almeno in parte, la propria clientela. Chi sono i vostri clienti?
[AM] Siamo quasi l’unica libreria della valle Camonica. A Darfo c’è la storica Merello, ma la titolare ha settant’anni e non trova a chi passare la mano. Breno è storicamente un centro di scuole superiori e uffici della media valle, ma dopo le sei si svuota ed è morta: ha solo una cartolibreria. Perciò i clienti vengono qui da Edolo, da Brescia, perfino da Como. All’inizio ci chiedevano i classici o i bestseller di Einaudi, Mondadori, Sperling & Kupfer; poi, incuriositi da libri strani, facevano domande e acquistavano altro, lasciandosi guidare da noi e non dalla pubblicità.
Cerchiamo nei clienti, che sono lettori appassionati come noi, un rapporto di fiducia: per noi sono persone di cui intuire i gusti, con cui scambiare idee e consigli di lettura. Cerchiamo insomma di costruire e coltivare una piccola comunità di lettori.
Andrea consiglia: Michele Vaccari, Un marito, Rizzoli 2018
[NP] E tu sostieni che una comunità vive solo grazie alla «biodiversità», che per te è «la condizione di esistenza stessa della cultura». Che cosa intendi? Come metti in pratica questa idea?
[AM] La biodiversità e la capillarità della provincia sono ricche e fondamentali: il paese non può servire solo i turisti né diventare solo periferia remota della città. È nei quartieri dormitorio, senza servizi né cultura, che la follia diventa normalità: segregazione, alcol e altre dipendenze, violenza domestica.
Per noi perciò è importante collaborare con chi, in vari modi, fa cultura qui. Fin dal 2012 cooperiamo con Giada e Maura di Schiribìs («scarabocchio» in dialetto), un’agenzia che promuove attività culturali per la Valcamonica. Dal 2015 la libreria è diventata un coworking e ospita la sede di Schiribìs, tanto che ci siamo dati il nome comune di STORiE.
Purtroppo la pandemia ha costretto Giada e Maura a chiudere, ma la biodiversità culturale implica il sostegno reciproco fra organismi, perciò non si lascia indietro nessuno: stiamo cercando nuove forme di cooperazione. Solo insieme si fa comunità, solo insieme si resiste.
[NP] Come resistete dal punto di vista commerciale? Una libreria ha uno spazio limitato in cui esporre una merce, i libri, moltissimi dei quali passano in poche settimane dalla novità all’oblio.
[AM] Cerchiamo di essere, nel nostro piccolo, speciali. Come dicevo, non inseguiamo le novità, né i premi, né le classifiche dei giornali. Non potremmo, nemmeno volendo.
Siccome mettiamo i libri perlopiù appoggiati sui ripiani e i tavoli, possiamo tenerne meno, ma l’importante è che siano visti e sfogliati: uno dei nostri pochissimi vantaggi su Amazon è che qui il libro torna oggetto da toccare e guardare. Per questo i libri per bambini sono messi ad altezza di bambino.
Proprio l’infanzia è una delle due nicchie in cui cerchiamo di distinguerci. Moira è stata educatrice di strada e ora lavora con persone disabili: mentre la narrativa italiana è spesso ferma al romanzo famigliare o di formazione, molti libri per bambini sono innovativi. Non ci piacciono quelli moraleggianti o didascalici.
L’altra nicchia sono i libri sulla montagna: io sono stato educatore ambientale per la Regione Lombardia, entrambi siamo appassionati camminatori, e siamo nati fra le montagne. Io stesso poi faccio parte del collettivo di esploratori e scrittori Alpinismo Molotov.
Scegliere libri su cose che amiamo e pratichiamo è un altro modo di essere indipendenti.
[NP] Le statistiche però mostrano che in Italia i lettori calano, mentre il numero dei titoli pubblicati cresce: oggi sono circa 180 al giorno. Come te lo spieghi?
[AM] Non me lo spiego – non dal punto di vista del libraio, almeno. Secondo me, moltissime case editrici sono gestite da manager che trattano i libri come i detersivi: ne pubblicano quantità enormi, sapendo che otto su dieci andranno al macero.
Ci sono poi i finti editori, che pubblicano qualsiasi cosa gratis, a patto che l’autore acquisti duecento copie del proprio libro. Così lo stampatore azzera il rischio e si assicura un guadagno, mentre lo scrittore, prima illuso e poi deluso, dovrà regalare le copie a parenti e amici alla presentazione.
Fare comunità per noi significa invece coltivare i rapporti con gli editori. Fa male perciò vedere che un editore come Mursia tradisce il proprio pedigree storico, tanto da pubblicare la presunta inchiesta di Bonomo sul disastro del Gleno: un personaggio discutibile e una tesi assurda, secondo cui a far crollare la diga, nel 1923, sarebbe stato il solito attentato degli anarchici.
Puntoacapo apprezza molto invece Marcos y Marcos, che per fedeltà al suo progetto pubblica solo un libro di narrativa al mese. Anche Armillaria di Roma crede in quello che fa. Per arte e architettura ci fidiamo di Corraini di Mantova.
Un’idea sempre più quantitativa della lettura è anche causa ed effetto di un altro male: la scomparsa degli editor, ossia di i professionisti e mediatori di cultura che guidano un autore a trasformare il suo manoscritto in un libro. Oggi molte case editrici trattano gli editor come costi inutili, o si affidano a figure poco professionali, a cui chiedono non di accompagnare un libro alla pubblicazione, bensì di riscriverlo.
Noi, nel nostro piccolo, lavoriamo a un’idea ben diversa dello scrivere e del leggere. Non ci abbiamo fatto i soldi, però ci siamo arricchiti.
Andrea consiglia: La grande estinzione. Immaginare ai tempi del collasso, Armillaria 2019
Fine dell’articolo Autore: Narno Pinotti
Revisione e cura: Valentino Valitutti, Alessandro Ardigò
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Di mestiere insegno italiano, latino e storia antica al liceo scientifico. Di formazione sono un grecista: dopo la laurea alla Statale di Milano, ho seguito un dottorato in Storia e civiltà dei Greci a Milano, Genova e Pisa.
Mi è sempre interessato anche il mondo attuale: nel 2018 mi sono laureato in Storia dell’Italia contemporanea, di nuovo alla Statale, studiando quel che un grande quotidiano tedesco scriveva sulla politica del nostro paese nella seconda metà degli anni Settanta.
Sono coautore di tre versionari di latino e di un’antologia di poesia italiana, tutti pubblicati dalla Nuova Italia.
Conoscendo bene il tedesco e amando la Germania, per due anni sono stato lettore d’italiano alla Ruhr-Universität di Bochum.
Quell’esperienza e il mio interesse per la linguistica – che cresceva con la frustrazione per il modo con cui purtroppo s’insegnano il latino e il greco – mi hanno avvicinato al metodo induttivo-contestuale di Ørberg e Miraglia. Dal 2011 insegno latino parlandolo e scrivendolo, e soprattutto facendolo leggere, capire e parlare.
Sono convinto anche che la cultura e i testi degli antichi debbano sì essere coltivati dagli specialisti, ma anche diffondersi fra tutti gli interessati. “Interesse” è la parola chiave: senza la passione, in chi insegna e in chi impara, non si va da nessuna parte.
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