
Propongo qui alcuni estratti dalla lezione introduttiva (La scuola delle competenze e la filologia, 25 novembre 2020) al corso di aggiornamento professionale su Competenze filologiche per la Scuola organizzato nell’anno accademico 2020-21 dall’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e dalla Società Italiana di Filologia Romanza-sezione Scuola (SIFR-Scuola). Di quella lezione mantengo l’andamento discorsivo e un apparato bibliografico il più stringato possibile.
Per introdurre il tema del mio intervento, cercherò innanzi tutto di tracciare il quadro generale dentro al quale mi muoverò: per chiarezza metodologica ed espositiva, certo, ma soprattutto per onestà intellettuale nei confronti di chi legge. E avviso che quel che dirò sarà volutamente tagliato con l’accetta e «senza nessun rispetto umano di fronte al risaputo» (come mi ha insegnato uno dei miei maestri, lo storico del teatro Gian Renzo Morteo: MORTEO 1986, 10).
Il primo dato risaputo sul quale vorrei attirare l’attenzione è che il sistema formativo di questo Paese (e dunque questo Paese nel suo complesso) soffre di alcune situazioni a mio parere paradossali che mi paiono così riassumibili: Scuola e Università sono due mondi che raramente si parlano e, quando si parlano, ancor più raramente si capiscono; chi opera nella Scuola e nell’Università spesso dimentica che esiste un’istanza politica cui spetta di prendere decisioni strategiche (politiche, appunto); chi opera nella Scuola e nell’Università spesso non riesce a proporre possibili soluzioni ai problemi reali, così che lo spazio della discussione finisce per essere riservato ad altre realtà (esterne alla Scuola e all’Università), non sempre, per così dire, “neutrali” o “disinteressate”.
Ciò posto, partiamo da una prima questione: non credo di essere lontano dal vero se dico (so che può urtare, ma io penso che sia proprio così) che il malessere tra e degli adolescenti nasce soprattutto dentro la scuola; così come nasce soprattutto dentro la scuola anche il disagio dei docenti, che aumenta sempre di più, soprattutto quando correlato con la mancanza di competenze trasversali (per fare un solo esempio: la competenza nel fare ricerca), le uniche che oggi possono rendere i docenti capaci di affrontare la complessità.
Seconda questione che vorrei sollevare: grosso modo tra il 2006 e il 2010 una serie di atti normativi ha disegnato un nuovo modello di Scuola, ovvero la cosiddetta “Scuola delle competenze” (sulla quale ˗ lo dico subito ˗ secondo me c’è molta confusione). E però la Scuola disegnata da quegli atti normativi semplicemente non esiste, dal momento che non ha trovato applicazione, anche (ma non solo) perché esiste una contraddizione a mio parere insanabile tra quel modello di Scuola e l’avere elevato soltanto fino ai sedici anni e non ai diciotto l’obbligo scolastico; e tra quel modello di Scuola e il non avere considerato due spinosi temi: per i licei quello del canone nell’insegnamento della letteratura; e per il sistema tutto della scuola secondaria di secondo grado quello del valore legale del titolo di studio (un vero e proprio tabù, sembrerebbe: soprattutto a sinistra dello schieramento politico). La questione è centrale e di questo secondo me merita che noi umanisti si discuta, piuttosto che accapigliarci per decidere se dedicare due o quattro ore di lezione, verbi gratia, al trapassato remoto dei verbi passivi o al sesto canto dell’Inferno. Oggi siamo a mio avviso di fronte a una Scuola che risponde non al quadro normativo ma all’opinione pubblica (e in particolare ai media), ovvero a un’istanza (beninteso) del tutto legittima ma non, per così dire, “legiferante”: in un paese di democrazia avanzata come noi dovremmo essere (o ci illudiamo di essere), di fronte a una norma secondo me ci sono, semplificando, due possibilità (e mi scuso per la naïveté): a) la rispettiamo, b) la boicottiamo, ma ce ne assumiamo la responsabilità. Di fronte al modello di Scuola delineato dal legislatore, insomma, o si cerca di applicarlo o lo si boicotta coscientemente e assumendosi la responsabilità della propria scelta, mentre oggi siamo invece di fronte a una situazione che a me pare decisamente imbarazzante: dobbiamo sostanzialmente ancora iniziare a sperimentare (e poi eventualmente a consolidare) una Scuola nuova che si muova in funzione degli obiettivi indicati dal quadro normativo esistente. Troppe volte sento dire al riguardo che l’insegnante è un intellettuale libero: certo che è un intellettuale libero, ma la libertà non sta negli obiettivi e nelle finalità della Scuola, che devono essere il più possibile condivisi (e non stabiliti da ognuno di noi individualmente, giacché qualunque società decide a che cosa debba servire la Scuola); la libertà di insegnamento sta nei processi, nei metodi finanche nei contenuti per raggiungere quegli obiettivi e quelle finalità socialmente condivisi (motivo per cui, peraltro, io continuo a pensare che la cosiddetta “programmazione per dipartimenti” che tanti istituti continuano pervicacemente a proporre, nell’illusione di una non meglio precisata omogeneità didattica, sia una gabbia inutile). La questione che io pongo è: insegnare le nostre discipline o insegnare attraverso le nostre discipline? E l’invito che faccio ai docenti della Scuola è di avere chiaro il quadro generale (i prìncipi “costituzionali” della Scuola) e lavorare in funzione di quel quadro, scegliendo accuratamente contenuti e metodi funzionali agli obiettivi e alle finalità disegnati in quel quadro. Questo può anche non piacerci, ma fa parte del gioco della democrazia: non può essere il singolo docente a decidere a che cosa serva la Scuola, perché siamo una comunità che deve condividere un’idea di Scuola.
Il modello di Scuola di cui stiamo parlando, e che ancora, come si diceva, attende un’effettiva sperimentazione e realizzazione, discende soprattutto da (avviso che mi concentro qui esclusivamente sulla secondaria di secondo grado):
1) la tanto citata quanto poco conosciuta Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 (con argomenti poi ripresi e sviluppati nella Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio del 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente);
2) le Indicazioni nazionali per i licei e le Linee guida per gli istituti tecnici e per gli istituti professionali (entrambe del 2010; ma si vedano anche le Linee guida per favorire e sostenere l’adozione del nuovo assetto didattico e organizzativo dei percorsi di istruzione professionale del 2019).
La Raccomandazione del 2006 espone le famose «competenze chiave per l’apprendimento permanente» in un quadro europeo. Le competenze indicate (come si sa) sono otto e in particolare in questa sede attiro l’attenzione sulla prima («Comunicazione nella madrelingua»), sulla seconda («Comunicazione in lingue straniere»), sulla quinta («Imparare a imparare») e sull’ottava («Consapevolezza ed espressione culturale»). Per fare un solo esempio, ricordo che a proposito della «Comunicazione nella madrelingua» (la prima dell’elenco: e la tassonomia avrà pur un valore!) si dànno indicazioni che a me non sembra vadano buttate via per partito preso e che vale la pena di andare a rileggere spesso, perché in tal modo ci si accorgerà che la “scuola delle competenze” non è sic et simpliciter quella sorta di strumento per la costruzione del capitalismo avanzato e del mercato dei consumatori e per la distruzione dei contenuti disciplinari che molti fautori della scuola delle conoscenze sbandierano (come se competenze e conoscenze si potessero scindere, come vedremo): non mi pare che si dica che la competenza nella madrelingua è finalizzata alla costruzione del cittadino-consumatore! Ecco uno stralcio di quanto viene indicato:
Un atteggiamento positivo nei confronti della comunicazione nella madrelingua comporta la disponibilità a un dialogo critico e costruttivo, la consapevolezza delle qualità estetiche e la volontà di perseguirle nonché un interesse a interagire con gli altri. Ciò comporta la consapevolezza dell’impatto della lingua sugli altri e la necessità di capire e usare la lingua in modo positivo e socialmente responsabile.
Laddove la Raccomandazione del 2006 parla di conoscenze, abilità e competenze, si vede chiaramente che i tre livelli sono strettamente interrelati tra loro (bisognerà però notare che troppo spesso anche gli addetti ai lavori confondono il concetto di “abilità” con quello di “competenza”). In sintesi (e semplificando molto):
- le conoscenze indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relativi a un settore di studio o di lavoro e sono descritte come teoriche e/o pratiche;
- le abilità indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di materiali e strumenti);
- le competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.
Noi umanisti siamo stati fortemente assenti nella discussione sulle competenze, lasciando che a riempire lo spazio del dibattito pubblico fossero quasi esclusivamente i pedagogisti e arroccandoci spesso nella stucchevole contrapposizione (che semplicemente non ha motivo di esistere, come s’è appena visto) tra conoscenze e competenze. E invece, se noi cominciassimo a dire, per esempio, che nello studio delle discipline umanistiche è necessario affrontare finalmente i nodi della capacità di fare ricerca, dell’interpretazione della realtà (testuale), delle capacità di relazione tra gli studenti, i nostri colleghi pedagogisti e trasversalisti dovrebbero pur cominciare ad ascoltarci.
Tornando al quadro delle «competenze chiave per l’apprendimento permanente», non abbiamo purtroppo lo spazio per discutere nel dettaglio ˗ dal punto di vista del docente di materie letterarie ˗ di ognuna di esse, ma sarebbe esercizio oltre modo interessante. Per limitarci a quanto sub 1 e 2 («Comunicazione nella madrelingua» e «Comunicazione in lingue straniere»), credo non sia necessario ricordare il valore delle discipline filologiche per l’acquisizione di una competenza storico-culturale (e non solo “grammaticale” e “schiacciata” sulla sincronia) della lingua materna e delle lingue straniere, con ciò che ne deriva in relazione alla consapevolezza della complessità dell’atto comunicativo. Così come forse non è necessario soffermarci sull’altra fonte normativa, ovvero le Indicazioni nazionali e le Linee guida, giacché si tratta di argomento ipertrattato e perché su questo credo che le idee siano più chiare (rimando comunque in particolare a due miei recenti interventi, dai quali qui di séguito riprendo alcuni elementi: NOTO 2017 e NOTO 2018). Per comodità di chi legge, ho in ogni caso preparato una tavola sinottica dalla quale mi pare risulti evidente come parecchi elementi additati dalle Indicazioni nazionali e dalle Linee guida, e che hanno a che fare strettamente con conoscenze, abilità e competenze filologiche (e filologico-linguistiche), vengano molto spesso disattesi nella prassi didattica (sto parlando delle parti qui evidenziate in giallo; non considero in questa disamina le recentissime nuove Linee guida per gli istituti professionali, perché si tratta di un documento che risale sostanzialmente a pochi mesi prima dell’emergenza sanitaria che ancora stiamo vivendo).
Indicazioni nazionali per i Licei | Linee guida per gli Istituti tecnici |
Lingua e letteratura italiana – Linee generali e competenze | Lingua e letteratura italiana – Profilo in uscita |
Lingua | Lingua e letteratura italiana |
La lingua italiana rappresenta un bene culturale nazionale, un elemento essenziale dell’identità di ogni studente e il preliminare mezzo di accesso alla conoscenza: la dimensione linguistica si trova infatti al crocevia fra la competenze comunicative, logico-argomentative e culturali declinate dal Profilo educativo, culturale e professionale comune a tutti i percorsi liceali.
Al termine del percorso liceale lo studente padroneggia la lingua italiana: è in grado di esprimersi, in forma scritta e orale, con chiarezza e proprietà, variando – a seconda dei diversi contesti e scopi – l’uso personale della lingua; di compiere operazioni fondamentali, quali riassumere e parafrasare un testo dato, organizzare e motivare un ragionamento; di illustrare e interpretare in termini essenziali un fenomeno storico, culturale, scientifico. L’osservazione sistematica delle strutture linguistiche consente allo studente di affrontare testi anche complessi, presenti in situazioni di studio o di lavoro. A questo scopo si serve anche di strumenti forniti da una riflessione metalinguistica basata sul ragionamento circa le funzioni dei diversi livelli (ortografico, interpuntivo, morfosintattico, lessicale-semantico, testuale) nella costruzione ordinata del discorso. Ha inoltre una complessiva coscienza della storicità della lingua italiana, maturata attraverso la lettura fin dal biennio di alcuni testi letterari distanti nel tempo, e approfondita poi da elementi di storia della lingua, delle sue caratteristiche sociolinguistiche e della presenza dei dialetti, nel quadro complessivo dell’Italia odierna, caratterizzato dalle varietà d’uso dell’italiano stesso. |
Il docente di “Lingua e letteratura italiana” concorre a far conseguire allo studente, al termine del percorso quinquennale, risultati di apprendimento che lo mettono in grado di: padroneggiare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti: sociali, culturali, scientifici, economici, tecnologici; riconoscere le linee essenziali della storia delle idee, della cultura, della letteratura, delle arti e orientarsi agevolmente fra testi e autori fondamentali, con riferimento soprattutto a tematiche di tipo scientifico, tecnologico ed economico; stabilire collegamenti tra le tradizioni culturali locali, nazionali ed internazionali, sia in una prospettiva interculturale sia ai fini della mobilità di studio e di lavoro; riconoscere il valore e le potenzialità dei beni artistici e ambientali, per una loro corretta fruizione e valorizzazione; individuare ed utilizzare le moderne forme di comunicazione visiva e multimediale, anche con riferimento alle strategie espressive e agli strumenti tecnici della comunicazione in rete. |
Letteratura | |
Il gusto per la lettura resta un obiettivo primario dell’intero percorso di istruzione, da non compromettere attraverso una indebita e astratta insistenza sulle griglie interpretative e sugli aspetti metodologici, la cui acquisizione avverrà progressivamente lungo l’intero quinquennio, sempre a contatto con i testi e con i problemi concretamente sollevati dalla loro esegesi. A descrivere il panorama letterario saranno altri autori e testi, oltre a quelli esplicitamente menzionati, scelti in autonomia dal docente, in ragione dei percorsi che riterrà più proficuo mettere in particolare rilievo e della specificità dei singoli indirizzi liceali.
Al termine del percorso lo studente ha compreso il valore intrinseco della lettura, come risposta a un autonomo interesse e come fonte di paragone con altro da sé e di ampliamento dell’esperienza del mondo; ha inoltre acquisito stabile familiarità con la letteratura, con i suoi strumenti espressivi e con il metodo che essa richiede. È in grado di riconoscere l’interdipendenza fra le esperienze che vengono rappresentate (i temi, i sensi espliciti e impliciti, gli archetipi e le forme simboliche) nei testi e i modi della rappresentazione (l’uso estetico e retorico delle forme letterarie e la loro capacità di contribuire al senso). Lo studente acquisisce un metodo specifico di lavoro, impadronendosi via via degli strumenti indispensabili per l’interpretazione dei testi: l’analisi linguistica, stilistica, retorica; l’intertestualità e la relazione fra temi e generi letterari; l’incidenza della stratificazione di letture diverse nel tempo. Ha potuto osservare il processo creativo dell’opera letteraria, che spesso si compie attraverso stadi diversi di elaborazione. Nel corso del quinquennio matura un’autonoma capacità di interpretare e commentare testi in prosa e in versi, di porre loro domande personali e paragonare esperienze distanti con esperienze presenti nell’oggi. Lo studente ha inoltre una chiara cognizione del percorso storico della letteratura italiana dalle Origini ai nostri giorni: coglie la dimensione storica intesa come riferimento a un dato contesto; l’incidenza degli autori sul linguaggio e sulla codificazione letteraria (nel senso sia della continuità sia della rottura); il nesso con le domande storicamente presenti nelle diverse epoche. Ha approfondito poi la relazione fra letteratura ed altre espressioni culturali, anche grazie all’apporto sistematico delle altre discipline che si presentano sull’asse del tempo (storia, storia dell’arte, storia della filosofia). Ha una adeguata idea dei rapporti con le letterature di altri Paesi, affiancando la lettura di autori italiani a letture di autori stranieri, da concordare eventualmente con i docenti di Lingua e cultura straniera, e degli scambi reciproci fra la letteratura e le altre arti. Ha compiuto letture dirette dei testi (opere intere o porzioni significative di esse, in edizioni filologicamente corrette), ha preso familiarità con le caratteristiche della nostra lingua letteraria, formatasi in epoca antica con l’apparire delle opere di autori di primaria importanza, soprattutto di Dante. Ha una conoscenza consistente della Commedia dantesca, della quale ha colto il valore artistico e il significato per il costituirsi dell’intera cultura italiana. Nell’arco della storia letteraria italiana ha individuato i movimenti culturali, gli autori di maggiore importanza e le opere di cui si è avvertita una ricorrente presenza nel tempo, e ha colto altresì la coesistenza, accanto alla produzione in italiano, della produzione in dialetto. La lettura di testi di valore letterario ha consentito allo studente un arricchimento anche linguistico, in particolare l’ampliamento del patrimonio lessicale e semantico, la capacità di adattare la sintassi alla costruzione del significato e di adeguare il registro e il tono ai diversi temi, l’attenzione all’efficacia stilistica, che sono presupposto della competenza di scrittura. |
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OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO | |
LINGUA | |
Primo biennio | Primo biennio |
Nel primo biennio, lo studente colma eventuali lacune e consolida e approfondisce le capacità linguistiche orali e scritte, mediante attività che promuovano un uso linguistico efficace e corretto, affiancate da una riflessione sulla lingua orientata ai dinamismi di coesione morfosintattica e coerenza logico-argomentativa del discorso, senza indulgere in minuziose tassonomie e riducendo gli aspetti nomenclatori. Le differenze generali nell’uso della lingua orale, scritta e trasmessa saranno oggetto di particolare osservazione, così come attenzione sarà riservata alle diverse forme della videoscrittura e della comunicazione multimediale.
Nell’ambito della produzione orale lo studente sarà abituato al rispetto dei turni verbali, all’ordine dei temi e all’efficacia espressiva. Nell’ambito della produzione scritta saprà controllare la costruzione del testo secondo progressioni tematiche coerenti, l’organizzazione logica entro e oltre la frase, l’uso dei connettivi (preposizioni, congiunzioni, avverbi e segnali di strutturazione del testo), dell’interpunzione, e saprà compiere adeguate scelte lessicali. Tali attività consentiranno di sviluppare la competenza testuale sia nella comprensione (individuare dati e informazioni, fare inferenze, com-prendere le relazioni logiche interne) sia nella produzione (curare la dimensione testuale, ideativa e linguistica). Oltre alla pratica tradizionale dello scritto esteso, nelle sue varie tipologie, lo studente sarà in grado di comporre brevi scritti su consegne vincolate, paragrafare, riassumere cogliendo i tratti informativi salienti di un testo, titolare, parafrasare, relazionare, comporre testi variando i registri e i punti di vista. Questo percorso utilizzerà le opportunità offerte da tutte le discipline con i loro specifici linguaggi per facilitare l’arricchimento del lessico e sviluppare le capacità di interazione con diversi tipi di testo, compreso quello scientifico: la trasversalità dell’insegnamento della Lingua italiana impone che la collaborazione con le altre discipline sia effettiva e programmata. Al termine del primo biennio affronterà, in prospettiva storica, il tema della nascita, dalla matrice latina, dei volgari italiani e della diffusione del fiorentino letterario fino alla sua sostanziale affermazione come lingua italiana. |
Ai fini del raggiungimento dei risultati di apprendimento sopra riportati in esito al percorso quinquennale, nel primo biennio il docente persegue, nella propria azione didattica ed educativa, l’obiettivo prioritario di far acquisire allo studente le competenze di base attese a conclusione dell’obbligo di istruzione, di seguito richiamate:
L’articolazione dell’insegnamento di “Lingua e letteratura italiana” in conoscenze e abilità è di seguito indicata quale orientamento per la progettazione didattica del docente in relazione alle scelte compiute nell’ambito della programmazione collegiale del Consiglio di classe per l’asse dei linguaggi. Il docente tiene conto, nel progettare il percorso dello studente, dell’apporto di altre discipline, con i loro linguaggi specifici – in particolare quelli scientifici, tecnici e professionali − e favorisce la lettura come espressione di autonoma curiosità intellettuale anche attraverso la proposta di testi significativi, selezionati in base agli interessi manifestati dagli studenti. Per quanto riguarda la letteratura italiana, il docente progetta e programma l’itinerario didattico in modo tale da mettere in grado lo studente di orientarsi progressivamente sul patrimonio artistico e letterario della cultura italiana, con riferimenti essenziali alle principali letterature di altri paesi, anche in una prospettiva interculturale. Nell’organizzare il percorso di insegnamento-apprendimento il docente valorizza la dimensione cognitiva degli strumenti della comunicazione multimediale. Conoscenze Lingua
Letteratura
Abilità Lingua
Letteratura
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Secondo biennio e quinto anno | Secondo biennio e quinto anno |
Nel secondo biennio e nell’anno finale lo studente consolida e sviluppa le proprie conoscenze e competenze linguistiche in tutte le occasioni adatte a riflettere ulteriormente sulla ricchezza e la flessibilità della lingua, considerata in una grande varietà di testi proposti allo studio.
L’affinamento delle competenze di comprensione e produzione sarà perseguito sistematicamente, in collaborazione con le altre discipline che utilizzano testi, sia per lo studio e per la comprensione sia per la produzione (relazioni, verifiche scritte ecc.). In questa prospettiva, si avrà particolare riguardo al possesso dei lessici disciplinari, con particolare attenzione ai termini che passano dalle lingue speciali alla lingua comune o che sono dotati di diverse accezioni nei diversi ambiti di uso. Lo studente analizzerà i testi letterari anche sotto il profilo linguistico, praticando la spiegazione letterale per rilevare le peculiarità del lessico, della semantica e della sintassi e, nei testi poetici, l’incidenza del linguaggio figurato e della metrica. Essi, pur restando al centro dell’attenzione, andranno affiancati da testi di altro tipo, evidenziandone volta a volta i tratti peculiari; nella prosa saggistica, ad esempio, si metteranno in evidenza le tecniche dell’argomentazione. Nella prospettiva storica della lingua si metteranno in luce la decisiva codificazione cinquecentesca, la fortuna dell’italiano in Europa soprattutto in epoca rinascimentale, l’importanza della coscienza linguistica nelle generazioni del Risorgimento, la progressiva diffusione dell’italiano parlato nella comunità nazionale dall’Unità ad oggi. Saranno segnalate le tendenze evolutive più recenti per quanto riguarda la semplificazione delle strutture sintattiche, la coniazione di composti e derivati, l’accoglienza e il calco di dialettalismi e forestierismi. |
Conoscenze secondo biennio
Lingua
Letteratura
Conoscenze quinto anno Lingua
Letteratura
Altre espressioni artistiche
Abilità secondo biennio Lingua
Letteratura
Altre espressioni artistiche Analizzare il patrimonio artistico presente nei monumenti, siti archeologici, istituti culturali, musei significativi in particolare del proprio territorio. Abilità quinto anno Lingua
Letteratura
Altre espressioni artistiche
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LETTERATURA | |
Primo biennio | |
Nel corso del primo biennio lo studente incontra opere e autori significativi della classicità, da leggere in traduzione, al fine di individuare i caratteri principali della tradizione letteraria e culturale, con particolare attenzione a opere fondative per la civiltà occidentale e radicatesi – magari in modo inconsapevole – nell’immaginario collettivo, così come è andato assestandosi nel corso dei secoli (i poemi omerici, la tragedia attica del V secolo, l’Eneide, qualche altro testo di primari autori greci e latini, specie nei Licei privi di discipline classiche, la Bibbia); accanto ad altre letture da autori di epoca moderna anche stranieri, leggerà i Promessi Sposi di Manzoni, quale opera che somma la qualità artistica, il contributo decisivo alla formazione dell’italiano moderno, l’esemplarità realizzativa della forma-romanzo, l’ampiezza e la varietà di temi e di prospettive sul mondo.
Alla fine del primo biennio si accosterà, attraverso alcune letture di testi, alle prime espressioni della letteratura italiana: la poesia religiosa, i Siciliani, la poesia toscana prestilnovistica. Attraverso l’esercizio sui testi inizia ad acquisire le principali tecniche di analisi (generi letterari, metrica, retorica, ecc.). |
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Secondo biennio | |
Il disegno storico della letteratura italiana si estenderà dallo Stilnovo al Romanticismo. Il tracciato diacronico, essenziale alla comprensione della storicità di ogni fenomeno letterario, richiede di selezionare, lungo l’asse del tempo, i momenti più rilevanti della civiltà letteraria, gli scrittori e le opere che più hanno contribuito sia a definire la cultura del periodo cui appartengono, sia ad arricchire, in modo significativo e durevole, il sistema letterario italiano ed europeo, tanto nel merito della rappresentazione simbolica della realtà, quanto attraverso la codificazione e l’innovazione delle forme e degli istituti dei diversi generi. Su questi occorrerà, dunque, puntare, sottraendosi alla tentazione di un generico enciclopedismo.
Il senso e l’ampiezza del contesto culturale, dentro cui la letteratura si situa con i mezzi espressivi che le sono propri, non possono essere ridotti a semplice sfondo narrativo sul quale si stampano autori e testi. Un panorama composito, che sappia dar conto delle strutture sociali e del loro rapporto con i gruppi intellettuali (la borghesia comunale, il clero, le corti, la città, le forme della committenza), dell’affermarsi di visioni del mondo (l’umanesimo, il rinascimento, il barocco, l’Illuminismo) e di nuovi paradigmi etici e conoscitivi (la nuova scienza, la secolarizzazione), non può non giovarsi dell’apporto di diversi domini disciplinari. È dentro questo quadro, di descrizione e di analisi dei processi culturali – cui concorrerà lo studio della storia, della filosofia, della storia dell’arte, delle discipline scientifiche – che troveranno necessaria collocazione, oltre a Dante (la cui Commedia sarà letta nel corso degli ultimi tre anni, nella misura di almeno 25 canti complessivi), la vicenda plurisecolare della lirica (da Petrarca a Foscolo), la grande stagione della poesia narrativa cavalleresca (Ariosto, Tasso), le varie manifestazioni della prosa, dalla novella al romanzo (da Boccaccio a Manzoni), dal trattato politico a quello scientifico (Machiavelli, Galileo), l’affermarsi della tradizione teatrale (Goldoni, Alfieri). |
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Quinto anno | |
In ragione delle risonanze novecentesche della sua opera e, insieme, della complessità della sua posizione nella letteratura europea del XIX secolo, Leopardi sarà studiato all’inizio dell’ultimo anno. Sempre facendo ricorso ad una reale programmazione multidisciplinare, il disegno storico, che andrà dall’Unità d’Italia ad oggi, prevede che lo studente sia in grado di comprendere la relazione del sistema letterario (generi, temi, stili, rapporto con il pubblico, nuovi mezzi espressivi) da un lato con il corso degli eventi che hanno modificato via via l’assetto sociale e politico italiano e dall’altro lato con i fenomeni che contrassegnano più generalmente la modernità e la postmodernità, osservate in un panorama sufficientemente ampio, europeo ed extraeuropeo.
Al centro del percorso saranno gli autori e i testi che più hanno marcato l’innovazione profonda delle forme e dei generi, prodottasi nel passaggio cruciale fra Ottocento e Novecento, segnando le strade lungo le quali la poesia e la prosa ridefiniranno i propri statuti nel corso del XX secolo. Da questo profilo, le vicende della lirica, meno che mai riducibili ai confini nazionali, non potranno che muovere da Baudelaire e dalla ricezione italiana della stagione simbolista europea che da quello s’inaugura. L’incidenza lungo tutto il Novecento delle voci di Pascoli e d’Annunzio ne rende imprescindibile lo studio; così come, sul versante della narrativa, la rappresentazione del “vero” in Verga e la scomposizione delle forme del romanzo in Pirandello e Svevo costituiscono altrettanti momenti non eludibili del costituirsi della “tradizione del Novecento”. Dentro il secolo XX e fino alle soglie dell’attuale, il percorso della poesia, che esordirà con le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale, contemplerà un’adeguata conoscenza di testi scelti tra quelli di autori della lirica coeva e successiva (per esempio Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto, …). Il percorso della narrativa, dalla stagione neorealistica ad oggi, com-prenderà letture da autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, P. Levi e potrà essere integrato da altri autori (per esempio Pavese, Pasolini, Morante, Meneghello…). Raccomandabile infine la lettura di pagine della migliore prosa saggistica, giornalistica e memorialistica. |
A questo punto, se abbiamo in mente il modello di formazione che chiamiamo “Scuola delle competenze”, bisognerà chiedersi come possa non apparire del tutto incongruente che di norma nella formazione dei docenti di materie letterarie (sia in ingresso sia in servizio) non sia presente la filologia, ovvero il terzo pilastro metodologico (insieme alle competenze linguistiche e letterarie) di una complessiva formazione filologico-linguistica-letteraria seriamente fondata. Ovviamente di questo non sono responsabili i docenti, né individualmente né come categoria: la responsabilità è politica, è di chi decide come deve essere mirata la formazione dei docenti. Ricordo, per esempio, che al momento risulta sostanzialmente abolita una formazione postuniversitaria strutturata per i docenti in ingresso (i cosiddetti FIT, che pure sembravano un tentativo interessante, sono morti prima ancora di nascere) e dunque allo stato dei fatti la formazione per i docenti in ingresso (e poi in servizio) è costituita dalla formazione universitaria (compresi i famigerati 24 CFU: una sorta di sintesi e ipostasi del pressapochismo col quale l’istanza politica ha guardato alla scuola negli ultimi decenni) e dal percorso annuale di formazione iniziale e di prova (e poi dalla formazione in servizio: ma quale? normata come? dopo che l’ultimo contratto nazionale di lavoro ne ha di fatto abolito l’obbligo…). Ebbene: in nessuno di tali livelli è prevista la benché minima acquisizione di competenze filologiche, nemmeno nel primo, giacché è teoricamente possibile laurearsi in Lettere senza avere sostenuto neanche un esame di area filologica; così come, peraltro, non esiste (si badi bene) una declatoria in qualche modo cogente per i programmi degli insegnamenti di area linguistico-letteraria “obbligatori” (a norma di tabelle ministeriali per l’accesso alle classi di abilitazione) per insegnare nella scuola secondaria di secondo grado (linguistica generale, letteratura italiana, linguistica italiana). Per quanto riguarda in particolare i docenti attualmente in servizio, si osservi che essi, e per motivi, come si diceva, non certo imputabili alla loro volontà, devono far fronte a un deficit di formazione cui la sola esperienza sul campo non può sopperire. Pensiamo all’età media dei docenti in Italia, che è molto alta; molti docenti hanno seguito il percorso formativo che ho seguito io (che non sono giovanissimo, ma non ho 90 anni: due esami di letteratura italiana, due di storia, uno di geografia, due di latino eventualmente): a noi può anche urtare che lo si dica, ma questo è un problema strutturale (ora esacerbato e fatto emergere con chiarezza, ma certo non determinato, dall’emergenza pandemica e della cosiddetta “didattica a distanza”) cui bisognerà porre rimedio.
Per essere più concreto, indico qui (in sintesi per motivi di spazio) due tra le maggiori emergenze educative cui la Scuola oggi si trova a far fronte, e che a mio parere avrebbero bisogno di un approccio da parte dei docenti più strutturato e consapevole dal punto di vista filologico.
1) La non educazione linguistica. Parlo ovviamente del non raggiungimento della fondamentale competenza del “plurilinguismo” sul piano della diafasia e della diamesia, anche perché da questo discende la difficoltà da parte dei nostri studenti di decodificare correttamente la massa di informazioni cui sono sottoposti. Alludo ovviamente alla cattiva informazione, ma alludo soprattutto all’informazione volutamente distorta: quello delle fake news, infatti, sta diventando un problema sulla cui gravità ˗ finanche sul piano della tenuta democratica delle nostre comunità ˗ non sarà necessario insistere. È opinione diffusa che quella della cattiva informazione e dell’informazione distorta (i due fenomeni, pur spesso accomunati sotto la medesima etichetta fake news, vanno a mio parere tenuti distinti) sia questione emersa soltanto recentemente a causa del web, ma io non credo che sia così. Difatti, il web ha semplicemente acuito e accelerato alcuni meccanismi, che in realtà sono sempre esistiti: in qualche modo anche il De bello gallico è soprattutto il tentativo di costruire una pubblica opinione attraverso gli strumenti della retorica e della propaganda; e ricordo che già nel 2006 (un’epoca in cui il web non aveva ancora la forza di impatto che ha oggi) Tullio De Mauro parlava della necessità di una undicesima tesi per un’educazione linguistica democratica: «educare a un controllo del linguaggio e dei contenuti dell’informazione scritta e variamente trasmessa» per opporsi a una «informazione parziale, distorta o grossolana o invasivamente superficiale» (DE MAURO 2006, pp. 39-40 e p. 39). Perché a tale riguardo le competenze filologiche (e la ricerca filologica) offrono a mio avviso strumenti fondamentali da spendere in aula? Perché le discipline filologiche sono costituzionalmente fondate «sull’interrelazione tra le dimensioni diafasica, diatopica, diacronica e diamesica» e sono capaci di «allargare oltre il testo letterario il panorama delle tipologie testuali utilizzate» (NOTO 2018, p. 631), in quanto dotate di un impianto metodologico che pone al centro il testo come cantiere di lavoro: il testo inteso nella sua produzione, nella sua ricezione e anche dal punto di vista della storia della sua tradizione (che è come dire: come un testo ci viene consegnato dal passato più o meno prossimo, come noi arriviamo a conoscere un testo). Propongo qui un solo esempio. Guardiamo questo post che periodicamente e ciclicamente compare sui social, esaminiamone il contenuto (i dati offerti) e la forma (la struttura grammaticale, sintattica ma anche grafica e finanche tipografica):
Ieri il Senato della repubblica ha approvato con 257 voti favorevoli e 165 astenuti il disegno di legge del Senatore Cirenga che prevede la nascita del fondo per i “parlamentari in crisi” creato in vista dell’imminente fine legislatura. Questo fondo prevede lo stanziamento di 134 miliardi di euro da destinarsi a tutti i deputati che non troveranno lavoro nell’anno successivo alla fine del mandato. Questo quando in Italia i malati di SLA sono costretti a pagarsi da soli le cure. Rifletti e fai girare.
Perché questo post funziona? Perché molti credono ciecamente a quel che in esso si dice? Ciò accade soprattutto perché noi siamo portati a credere a un testo che ci procura soddisfazione emotiva: e tuttavia (come dovremmo insegnare ai nostri studenti) un testo non è vero semplicemente perché noi vorremmo che lo fosse. Basta analizzare il post con un minimo di attenzione per accorgerci che ci sono una serie di elementi (contenutistici e formali, come si diceva) che fanno vedere che si tratta di un testo costruito abilmente per catturare la nostra attenzione (e il nostro sdegno), e che tuttavia esso è disseminato di segnali ben precisi che ci fanno comprendere che siamo di fronte a un falso. Il problema è che i nostri studenti non hanno gli strumenti per comprendere la natura di questo testo e soprattutto non sono abituati a smontare un testo e non sono dotati degli strumenti necessari per fargli delle domande e per poterlo dunque comprendere e interpretare. Ciò su cui vorrei insistere, insomma, è che la filologia fornisce gli strumenti per decodificare e interpretare un testo; e che l’interpretazione del testo è lo scopo ultimo della filologia (la ricostruzione del testo, se necessaria, è ovviamente preliminare, ma non esaurisce il compito della filologia): e tutto ciò mi pare costituisca una competenza trasversale fondamentale, che ha a che fare con la vita democratica dei cittadini di questo Paese, soprattutto qualora si rifletta sul fatto che oggi il gioco democratico si fa anche intorno all’effetto provocato da post come quello di cui stiamo discutendo e a vere e proprie “cabine di regia” che indirizzano la comunicazione sui social e in generale sul web. Quando noi in classe presentiamo Lorenzo Valla come colui che fonda l’idea moderna di filologia, se non discutiamo coi nostri studenti su come e con quali strumenti egli arrivi a dimostrare la falsità della donazione di Costantino, abbiamo semplicemente perso del tempo. O meglio: ci siamo fermati alla scuola delle conoscenze (le quali rischiano, almeno in questo caso, di rimanere per i nostri studenti un dato inerte), mentre è invece necessario lavorare sugli strumenti che Lorenzo Valla usa per smontare un testo e arrivare a dimostrare il proprio assunto: esattamente come possiamo fare noi oggi per il post sul senatore Cirenga. Come ricorda Stefano Rapisarda, infatti (RAPISARDA 2018, 1),
il “De falso credita et ementita Constantini donatione” è un capolavoro della prosa polemica, dimostrativa e ‘razionalista’. Usa e mescola abilmente, forse per la prima volta, argomenti di carattere paleografico, diplomatico, linguistico, storico-culturale, archeologico, oltre che di carattere psicologico, giuridico, religioso e politico, e li amalgama in una prosa vivace e incalzante per dimostrare la falsità che si nasconde dietro la presunta donazione che avrebbe fondato il potere temporale del papi in Occidente.
Mi piace sottolineare che finalmente l’Università comincia a intervenire su questo fronte: per fare solo due esempi, nel luglio 2019 si è svolta presso l’Università di Urbino una summer school veramente interessante che si intitolava: Costruire l’Europa: fictio, falso, fake: sul buon uso della filologia; e nel novembre 2019 a Milano (Università Cattolica del Sacro Cuore e Università degli Studi di Milano) si è tenuto un convegno di studio su Filologia e formazione, organizzato dalle principali consulte filologiche italiane.
2) La “dimensione” dei nostri adolescenti. Gli aspetti psicologico-relazionali dei nostri studenti sono sempre più legati alla pura sincronia, a causa della progressiva perdita di senso della storia (e di quanto le discipline filologiche abbiano da dire dal punto di vista dell’educazione alla storia qui possiamo solo accennare, per motivi di spazio: penso soprattutto ai temi di linguistica storica): con tutto ciò che ne discende in termini di dimensione egocentrata, ovvero centrata su stessi o al massimo sul proprio gruppo di appartenenza. Tra le conseguenze sul piano educativo (che non esito a definire devastanti) di un simile quadro, emerge in particolare il problema degli usi comunicativi degli adolescenti. Si ricordi che nella Raccomandazione del 2006 si parla di competenze nella madrelingua anche in termini di «capacità di relazione», mentre mi pare evidente che, se io sono schiacciato sul mio gruppo di appartenenza, gli altri e gli altri gruppi costituiscono entità che possono essere annullate, umiliate, devastate: si pensi al cosiddetto hate speech, un tema quanto mai urgente e in merito al quale preferisco rimandare a chi lo ha studiato con attenzione (penso in particolare a FALOPPA 2020).
Certo, per affermare ˗ come sto facendo ˗ che, per far fronte a simili emergenze educative e democratiche è necessario che del mondo della Scuola secondaria di secondo grado facciano finalmente parte anche le competenze filologiche, bisognerà intendersi su che cosa intendiamo per “filologia”. E a tale riguardo vorrei prendere le mosse da un recentissimo volume di Michelangelo Coltelli e Noemi Urso dedicato proprio alle fake news (COLTELLI-URSO 2019). Quali sono le indicazioni che i due autori (due divulgatori esperti del web) forniscono per difendersi dalle fake news? In sintesi estrema:
- riflettere;
- leggere con attenzione;
- osservare le immagini;
- affidarsi a più fonti.
A ben vedere, è esattamente quello che insegna la filologia; sono esattamente le abilità e le competenze di cui può dotare la filologia. Tutto sta ad intendersi: non mi nascondo certo, infatti, che esistono molte ineptiae filologiche, del tutto legittime e ampiamente praticate (anche da me: che sia chiaro); però quella che io propongo qui è la filologia come pratica che trasmette allo studente fondamentali competenze trasversali:
- la filologia che insegna a mettere in relazione tra loro dati solo apparentemente irrelati e a dar forma così a un sistema, di cui sarà possibile ricercare il senso;
- la filologia che si confronta con il problema della ricezione scientificamente fondata dei testi (il raffronto sistematico tra tutte le testimonianze, dirette e indirette, per verificare il grado di attendibilità di ogni testimonianza; l’investigare senza sosta sui percorsi, sui meccanismi e sui canali che hanno consegnato i testi fino a noi) e delle alterazioni volontarie e involontarie che essi hanno subito;
- la filologia che si propone una corretta storicizzazione che sappia collocare i testi dentro le categorie che li hanno prodotti;
- la filologia che insegna a tornare indietro nel tempo, entrando in relazione con tutto ciò che è funzionale all’interpretazione, per cercare di avvicinarsi il più possibile alla vera “identità” di un testo (il testo come era e come veniva fruito quando è stato prodotto; e quale significato, e quale funzione prevalente nel senso jakobsoniano, a esso aveva affidato chi lo ha prodotto);
- la filologia che insegna a cogliere tutte le implicazioni (e tutte le incrostazioni) che il viaggio del testo nel tempo ha prodotto;
- la filologia che fornisce la consapevolezza che ogni dato informativo arriva sino a noi attraverso canali di trasmissione che ne determinano inevitabilmente cambiamenti (a volte anche radicali) e ri-usi;
- la filologia che ci pone di fronte al problema della stessa natura, per così dire, “ontologica” del testo col quale ci confrontiamo (rimando ancora a NOTO 2018b), giacché a mio parere è necessario far comprendere agli studenti che ogni verità testuale, esattamente come ogni verità giudiziaria e finanche ogni verità “storiografica”, non necessariamente corrisponde alla verità, diciamo così, “effettuale”; e che ogni ricostruzione va sottoposta al vaglio della critica (è importante, per esempio, che il mio studente capisca che non è detto che quella canzone, poniamo di Guinizzelli, che ha davanti sia esattamente quella che ha realmente scritto l’autore, e che anzi è probabile che non sia così; e che tuttavia quel che è realmente importante è cercare di avvicinarsi il più possibile alla verità testuale e poi su quella fondare una interpretatio).
L’interpretazione del testo, dunque: un’interpretazione il più possibile fondata (dal punto di vista storico, ermeneutico, ecc.: perché non è vero che uno vale uno e non è vero che tutte le interpretazioni sono possibili) e che sia il risultato di conoscenze e dati, e non di impressioni e “intuizioni” più o meno iniziatiche. In altre parole (e in sintesi estrema): un’interpretazione che permetta – con esplicita assunzione di responsabilità da parte di chi interpreta – di tentare di colmare almeno in parte la distanza (geografica, cronologica, linguistica, culturale, sociale, legata ai meccanismi della comunicazione e della trasmissione, persino alle modalità di disposizione grafica, ecc.) da quell’altro da sé che è il testo del passato.
Tutto questo oggi non può non far parte della Scuola: in caso contrario, l’insegnamento dell’Italiano rischia di diventare semplicemente ed esclusivamente un mezzo attraverso il quale noi docenti ci illudiamo di perpetuare le nostre spesso impressionistiche (e quasi sempre soggettive) passioni (o conoscenze, che dir si voglia…).
Bibliografia
- COLTELLI-URSO 2019 = Michelangelo Coltelli e Noemi Urso, ‘Fake News’. Cosa sono e come imparare a riconoscere le false notizie, Firenze, Cesati, 2019.
- DE MAURO 2006 = Tullio De Mauro, Educazione linguistica oggi, in Linguaggio, mente, parole. Dall’infanzia all’adolescenza, a cura di I. Tempesta e M. Maggio, Milano, Franco Angeli, 2006, poi in Tullio De Mauro, L’educazione linguistica democratica, a cura di S. Loiero e M. A. Marchese, Roma-Bari, Laterza, 2018, pp. 32-40 (da cui si cita).
- FALOPPA 2020 = Federico Faloppa, #Odio: manuale di resistenza alla violenza delle parole, Torino, Utet, 2020.
- MORTEO 1986 = Anna Sagna e Gian Renzo Morteo, La linea, in Linea teatrale, 4, 1986, pp. 5-10.
- NOTO 2017 = Giuseppe Noto, Tra diagnosi parziali e terapie sbagliate. Riflessioni di un filologo romanzo formatore di insegnanti, in Allegoria, 30, 2017, pp. 173-178.
- NOTO 2018 = Giuseppe Noto, La filologia romanza a scuola: riflessioni di un filologo romanzo prestato alla fomazione degli insegnanti, in “que ben devetz conoisser la plus fina”. Per Margherita Spampinato. Studi promossi da Gabriella Alfieri, Giovanna Alfonzetti, Mario Pagano, Stefano Rapisarda, a cura di Mario Pagano, Avellino, Edizioni Sinestesie, 2018, pp. 627-638.
- NOTO 2018b = Giuseppe Noto, Il Medioevo che è in noi: approcci didattici alla letteratura del Medioevo romanzo, in Letterature e letteratura delle origini: lo spazio comune europeo. Prospettive didattiche per la scuola secondaria e per l’università, a cura di Giuseppe Noto, Torino, Loescher (QdR 7. Didattica e letteratura), 2018, pp. 15-31.
- RAPISARDA 2018 = Stefano Rapisarda, La filologia al servizio delle nazioni. Storia, crisi e prospettive della Filologia romanza, Milano-Torino, Mondadori, 2018.
Fine dell’articolo
Autore: Giuseppe Noto
Revisione e cura: Serena Lunardi, Alessandro Ardigò
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