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Io sono pugile – un incontro fra letteratura e pugilato

Combattimento fra pugili di età minoica (XVI sec. a.C.). Affresco di Akrotiri. Museo Archeologico nazionale di Atene. In copertina illustrazione di Mauro Cicarè, per il volume M. Cicarè, G. Tinti, “Io sono Arthur Cravan. NPE edizioni. https://www.ibs.it/io-sono-arthur-cravan-libro-mauro-cicare-gabriele-tinti/e/9788897141952

La tentazione (di Nina Cassian)
Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto.
Per la prima volta vedrai i pori schiudersi
come musi di pesce e potrai ascoltare
il mormorio del sangue nelle gallerie
e sentire la luce scivolarti sulle cornee
come lo strascico di un abito; per la prima volta
avvertirai la gravità pungerti
come una spina nel calcagno
e per l’imperativo della ali avrai male alle scapole.
Ti prometto di renderti talmente vivo che
la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili,
che le sopracciglia diventeranno due ferite fresche
e ti parrà che i tuoi ricordi inizino
con la creazione del mondo.

Questo è un saggio che metterà alla prova sia me sia voi. La scrittura e il pugilato si esibiscono sulla stessa pagina bianca sin dalla loro nascita; i loro avversari sono essi stessi, devono battersi per poi superarsi, lasciare un segno e resistere alla forza del tempo. I miei gomiti spingono sul tavolo dall’età di quindici anni quando scrissi la prima poesia e i muscoli, compreso il cuore, conobbero quell’adrenalina che colpisce lo scrittore all’improvviso, come un diretto non schivato accuratamente. In questo grande incontro che dura secoli non sono sola: mi hanno portato qui Hemingway, la Dickinson, Fitzgerald, la O’Connor, la Oates, la Dunn, Spadaro, Cravan, la Candiani, Sepulveda, Alì, Carnera, Chaplin, mia nonna Ada Negri (preciso non la poetessa) che mi raccontava sempre le imprese degli eroi e delle eroine custodite nell’Iliade e nell’Odissea.

Insegna il poeta e docente Tomaso Kemeny: «Il poeta e il pugile bruciano entrambi per l’amour four, l’amore per la lotta, entrambi vivono nella prospettiva di vincere. Se il pugile non vede l’ora di misurarsi con il suo avversario, un suo simile, il poeta non vede l’ora di confrontarsi con il linguaggio del conformismo sociale e ridare alla lingua madre la forza di cui ha bisogno. Unico vantaggio del pugile sul poeta è che può disporre di un cutman, mentre il poeta porta avanti nello spazio tempo della scrittura le sue ferite alla ricerca della perfezione. Se il poeta deve lavorare per mantenere la propria autonomia dalle falsificazioni epocali, dalle illusioni collettive, non dire banalità, non rovinare la tradizione, ma rinnovandola, il pugile deve evitare di distribuire colpi bassi sotto la cintura e percuotere l’avversario dietro la nuca». Kemeny lo vorrei al mio all’angolo del ring se dovessi fare un match per misurare la mia forza e aggiungo che per anni ho sempre pensato che ai poeti mancasse qualcosa, anche agli imbattuti che tutt’ora sfamano generazioni di scrittori come T.S.Eliot, Dylan Thomas, Nina Cassian. Anzi preciso, ad entrambe le due arti, alla poesia e alla boxe manca qualcosa. Sono arti meravigliosamente imperfette, ma insieme si completano: alla prima manca il corpo, la carnalità, alla seconda la parola.

Ricevetti un altro diretto quando scoprì dopo numerose letture, interviste ai grandi campioni e non solo che la boxe è l’incarnazione della poesia. Qualche nome: il professor Mario Ireneo Sturla (Co-Chairman della Commissione Medica Mondiale della World Boxing Council, professore dell’Università degli studi di Pavia e medico della Federazione pugilistica italiana dal 1973) dalla genialità raffinata, convinto che oggi sia necessario investire con urgenza nella cultura e nello sport e che questo farebbe di noi dei rivoluzionari. «Dobbiamo puntare in alto nei progetti che si desiderano realizzare, che siano opere d’ingegno o campionati del mondo». Per aspera ad astra è una frase che ripete spesso e che cifra perfettamente l’impegno che serve agli uomini desiderosi di fare la differenza per se stessi e per il prossimo. Attraverso le asperità si arriva alle stelle: i pugili quando salgono sul ring lo sanno, conoscono la fatica fisica ed emotiva che viene richiesta loro per vincere.
Giuliano Orlando, firma storica del pugilato italiano, profondo conoscitore di questa antica disciplina e sempre al passo con i tempi nelle sue riflessioni, sottolinea come il pugilato nel nostro paese abbia bisogno di nuovi “donatori”appassionati e di come non si debba mai dimenticare che la boxe non sia solo uno sport, ma un’arte dalla storia millenaria. Giuliano detto anche Rocky, mi raccontò anche di come prima dell’amore per il giornalismo ci fu l’amore per la poesia e poi l’amore per il pugilato. «La cultura del pugilato ha fatto battere il cuore a milioni di italiani negli anni passati, il compito di oggi perché il pugilato ritorni in auge è quello di raccontare la sua storia mettendola in gioco con le altre arti.»

Tutti gli indizi in questa avventura letteraria e di vita, mi hanno accompagnato anno dopo anno ad essere qui a raccontare questa scoperta che intendo condividere perché anche voi lettori possiate rimanerne stupiti, provarla sulla vostra pelle o anche solamente, andare a un incontro di pugilato portando con voi i vostri figli, amici, dandovi l’occasione di assistere a un spettacolo emozionante senza eguali, denso di passaggi ritualistici affascinanti, dove il ring può essere visto come un altare in cui si cerca redenzione o in cui si vuole solo fare della ottima boxe.

La poesia e la boxe, necessitano di essere guardate, lette da occhi altrui per sentirsi celebrate, riconosciute, omaggiate. Abitano una lotta generazionale che gli sveglia all’alba, per allenarsi, per vincere le sfide della vita ed essere ricordati. Non mancano di ego né i pugili né i poeti. Chiedete ad entrambi cosa vogliano farne del loro nome e la loro risposta sarà: lasciare un segno, la fama, il successo, l’amore del pubblico.

Un poeta, uno scrittore, che si troverà a guardare un incontro di boxe, potrà assistere alla messa in scena di uno spettacolo omo-eroico, che segue le leggi del tempo decise da arbitri e giudici, dandosi l’occasione di chiedersi: chi sale sul ring cosa sta cercando? La letteratura è un pugno che ti sveglia come diceva Kafka? Lascio volentieri la parola a lei, a Joyce Carol Oates:«Per chi scrive, non esiste argomento così carico di una valenza personale quanto la boxe. Scrivere di boxe è come scrivere di sé stessi anche se in forma ellittica e quasi senza volerlo. E scrivere di boxe costringe ad avere davanti agli occhi non solo la boxe, ma anche le demarcazioni della civiltà:cosa significa, o dovrebbe significare «essere umani».

Joyce Carol Oates, Sulla Boxe, 2015. https://www.ibs.it/sulla-boxe-libro-joyce-carol-oates/e/9788898970100

Con la boxe è sempre una questione di amore e di tempo
Ogni scrittore rappresenta se stesso e il tempo che abita, Montale diceva: «Ogni poeta ha una scommessa da compiere con la propria generazione» e chi può contraddirlo. Inevitabilmente questo vale anche per gli sportivi, in questo caso per i pugili. Chiamo sul ring ancora Tomaso Kemeny di cui riporto le seguenti parole: «Nella società contemporanea in cui si continuano a violare senza vergogna le leggi estetiche e morali del vivere civile, del rispetto reciproco e dove la violenza fra i giovani sta diventando un flagello comportamentale, dove gli istituti scolastici fanno una fatica colossale a fronteggiarla perché lasciati soli molto spesso dalle istituzioni, la nobile arte del pugilato e l’arte poetica sono in grado di riprodurre secondo specifiche regole, stili individuali, veri modelli di vita che contrastino una volontà di asservimento che trasforma i cittadini in inconsapevoli schiavi». Con la boxe è sempre una questione di amore e di tempo?La risposta è si, perché per scegliere uno sport come la boxe, per volerlo vedere dentro un palazzetto, un arena, un teatro o nei quartieri delle città bisogna avere un desiderio viscerale di volersi mettere alla prova, bisogna desiderare di voler assistere a uno spettacolo diverso che non sia solo quello fornito dalle televisioni o dai giornali di oggi. La boxe nel 2022 dovete andarla a cercare, perché gli anni di Maurizio stecca, Francesco Damiani, Patrizio Oliva, dei Duran, gli anni d’oro della boxe sono finiti. I media sembra che vogliano mostrare agli italiani solo il calcio mercato e che abbiano finito di chiedersi in quale imaginarium i giovani di oggi si rispecchino. Le icone sportive sono fra le prime in cui le generazioni si riconoscono e soprattutto sono i volti della società che abitiamo. Dunque mi chiedo in che cosa e in chi ci riconosciamo? Questa stessa domanda l’ho rivolta a Don Alessio Albertini (assistente nazionale del Comitato Sportivo Italiano cattolico) quando andai a trovarlo nella sua parrocchia a Rho. Era stupito della mia visita e un amico comune Icio Stecca ci fece da intermediario. Il padre di Don Alessio e di suo fratello Demetrio, il rinomato calciatore, era stato un pugile. Non potevo chiedere di meglio: confrontarmi con un uomo di fede sulla natura del pugilato, abbattere i tabù prendendo un caffè, parlando con un uomo che fa della sua vita una missione per il benessere comune, per il singolo individuo, per i giovani che sono il futuro di un paese. Alessio come mi invita a chiamarlo, indaga il cuore delle persone, se ne fa carico, è un uomo di fede e di cultura, privo di pregiudizi. Osserva i giovani che si avvicinano allo sport e mi dice: «La loro maggiore fatica è che non vogliono farla la fatica, nemmeno nel gioco. Sembra che sia stato estirpato loro un luccichio, quello che fa smuovere i ragazzi nel cimentarsi anche in giovane età, nel voler mettersi alla prova, proprio grazie allo sport, al gioco, nella sfida fra coetanei». Gli parlo della Oates e di come metteva a paragone la dedizione del santo a quella del pugile e della sua religione che prende il nome di pugilato. Non si scompone alle mie parole, anzi le comprende, la letteratura americana è ricca di queste riflessioni e mi spiega come solo da qualche anno la boxe sia rientrata nel elenco degli sport che il comitato cattolico nazionale propone alla scuole italiane. Era stata esclusa perché non era più ritenuta formativa per i ragazzi, quando invece si è sempre dimostrata una risorsa eccezionale a cui i ministri, preti, sindaci nella storia si sono avvicinati per combattere la violenza nei quartieri, la delinquenza, il bullismo, i soprusi razziali. Nei secoli precedenti i luoghi di culto come le chiese e le sinagoghe affiancavano alle loro strutture, palestre di pugilato per educare i ragazzi, per dare loro un luogo di incontro, per insegnare loro uno sport che tramutasse le loro paure, difficoltà, rabbia in una forza rigeneratrice e non autodistruttiva. Don Alessio conviene con me che sia urgente investire di più nello sport all’interno delle scuole e che rimanere scandalizzati davanti alla boxe classificandolo sia come sport violento sia come sport poco attrattivo per i media sia un grande errore per la società di oggi.

Ebbene come risposta a questa mal interpretazione che ancora segue pugilato, il mio compito è quello di dare ai lettori, gli occhi per vedere oltre i pregiudizi, ma sopratutto portarli all’angolo con me, a conoscere la cultura del ring. Sono grata a Don Alessio per aver accettato il mio invito, perché posso aggiungere anche il suo nome in quella rosa di testimoni favorevoli al pugilato perché gli venga ridato e si riprenda il suo posto, fra le arti nobili e fra gli sport di cui l’Italia ha bisogno per sentirsi forte e combattiva.

I pugili, di Giovanni Testori.
I pugili, di Giovanni Testori.

Niente paura la boxe è cultura
L’incontro fra la letteratura e il pugilato ha origini lontane e si protrae quasi fosse una legge di natura sino ai giorni d’oggi. Il poeta Gabriele Tinti nel 2014 pubblica l’ opera “All Over” (Mimesis) una raccolta di canti epici dove gli eroi cantati sono i pugili, che riconosce come i pochi ancora in grado di stupire, seppur ne riconosca la fragilità umana.«Il pugilato è poesia. Possiede la creatività, l’astrazione, il simbolismo della danza con in più la concretezza, l’emozione e la passione». Il nostro premio Nobel Dario Fo pubblica nel 2015 per Chiarelettere “Razza di zingaro”raccontando la storia profondamente toccante di Johann Trollmann un pugile straordinario di origine rom discriminato per la sua etnia nella Germania nazista. E ancora non si può non ricordare Giovanni Testori e il suo amore per il pugilato che lo ispirò sia come scrittore sia come pittore; “Il ponte della Ghisolfa” o “I Pugilatori” sono due esempi degni di nota. Più recentemente nel 2021 Riccardo C. Mauri, sceneggiatore e autore per “Le Iene”(programma cult di Mediaset), regala al pubblico italiano un romanzo in grado di leggere il suo tempo, i giovani e lo fa attraverso una scrittura senza alibi, sincera, con una semplicità comunicativa forte come un diretto pugilistico ben assestato.“Non fate arrabbiare Petra” (edizione Paoline) è un bellissimo romanzo; l’autore appassionato di boxe vuole lasciare un segno, come i segni che Petra si porta dentro. La giovane protagonista adolescente, vittima di bullismo, reagisce grazie agli insegnamenti che la boxe sa offrire, trova la sua forza interiore per affrontare i colpi della vita. Durante la lettura, si ha la percezione che l’autore sia realmente al suo fianco, guardandola crescere mentre ne racconta la storia. Mauri e gli altri autori con le loro opere scelgono di essere voci a favore della nobile arte.

Andiamo a cercare la boxe
Andiamo a cercarla la boxe, perché ci insegna a non odiare l’altro e anche se vi sembra che vi stia prendendo in giro non è così. Andiamo a cercare la boxe perché sul ring non ci sono pregiudizi razziali di cui purtroppo il mondo è ancora intriso. Abbiamo davvero bisogno di sentirci un popolo di pugili, di trovare una fonte che ci aiuti ad alimentare la resilienza, la risposta agli attacchi a cui ogni giorno siamo sottoposti. La pandemia ci ha colpiti come un nemico che non ha mostrato il volto, non eravamo ne pronti, ne alleanti a difenderci. E la prima regola della boxe quale è? La difesa. Andiamo a cercare la boxe nella palestra di Giacobbe Fragomeni, campione mondiale dal passato difficile, ammirato da tutti per la sua metamorfosi umana degna di nota. Sono certa che Kafka avrebbe scritto su di lui pagine e pagine. Instancabile lavoratore rimasto umile anche dopo i numerosi successi non solo sportivi, ma anche televisivi, desideroso di trasmettere l’amore per il pugilato che lo ha forgiato dentro e fuori ai ragazzi e alle ragazze che entrano nella sua palestra, la sua casa. Quando vidi che la foto incorniciata al muro davanti al ring era una istantanea del match in cui aveva combattuto con uno dei suoi più grandi avversari David Haye perdendo, rimasi folgorata. Guardai di nuovo per assicurarmi di aver visto bene. Aveva perso meravigliosamente, lottando fino alla fine in un incontro pieno di pathos. E seppur sul ring non si usino le parole, la storia delle loro azioni sul ring era visibile, incarnata nei loro corpi. Nessuno dei due voleva perdere, Giacobbe perse il match, ma si guadagnò l’opportunità di gareggiare per il mondiale. Perché Fragomeni ha appeso proprio quella foto? Come monito per se stesso, per ricordarsi che le sconfitte possono essere il preludio a una rivoluzione interiore che spinge ogni essere umano a cercare meglio la propria identità o felicità? Mi chiedo quale sportivo oggi possa vantare scelte di questo tipo e di certo non ne mancheranno e allora aggiungiamo fra le storie da condividere e raccontare ai più giovani, le imprese dei pugili.

Andiamo a cercare la boxe alla Heracles Gymnasium dove Renato De Donato ha costruito un avamposto culturale e sportivo nel cuore di via Padova a Milano, dove la vita del quartiere non è facile. Ci vuole coraggio per credere in un sogno quando credere nei sogni oggi spesso viene riconosciuto come un atto di superbia. La palestra dell’ex campione italiano, ridà vita ai ginnasi di concezione antica, nati con lo scopo di addestrare e educare i giovani e i non-giovani, dove c’è un ring che non fa a pugni con la cultura. Heracles non è solo una palestra, ma un punto di incontro, di formazione, di musica e lettura. Un luogo capace di leggere le esigenze della sua città e il territorio che abita. Le sue mura parlano attraverso i meravigliosi arazzi appesi, che sembrano avere il compito di proteggere chi entra. Il messaggio che fa battere il cuore all’Heracles è quello che con la boxe la cultura non si tira indietro, le sue porte sono aperte agli artisti perché le arti si parlino, facciano quadrato insieme, perché l’unione fa la forza, perché il compito delle arti è quello di sollecitare la coscienza collettiva.
Andiamo a cercare la boxe significa: cercare il pugile che c’è in ognuno di noi. Significa trarre da questo sport e i suoi valori, una fonte di ispirazione che possiamo fare nostra e non solo legata al pugilato.

Pugilatore-in-riposo
Il pugilatore a riposo. Rikkultramega2explorer, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

Un popolo di pugili
I pugili desiderano ridare agli altri quello che la boxe ha regalato loro. Abbiamo davvero bisogno di riscoprire la forza che c’è in noi, la sua origine, attraverso uno sport che si basa su nobili valori in grado di tramutarsi in arte e nella forza della cultura, che ci regala identità, storia e nondimeno diritti. Spesso i giornali portano a tema la perdita dei senso civico fra i giovani e per questo motivo il ministero dell’istruzione ha reintrodotto l’educazione civica all’interno degli istituti scolastici, ma questo prezioso valore come deve essere veicolato ai giovani, quali testimonianze possono aiutare i professori vessati dalla burocrazia scolastica, dalla didattica a distanza, dal preparare le lezioni e dal riuscire a catturare l’attenzione delle loro classi?All’interno di quale disciplina l’educazione civica deve essere veicolata? Portiamo nelle scuole testimonianze di vita significative, educative. Che le istituzioni, sportive e scolastiche facciano quadrato insieme, creino sinergie collaborative per accompagnare i ragazzi dai banchi di scuola a conoscere quegli sport educativi dalla storia millenaria. Il pugilato, le sue regole, i suoi maestri, i suoi campioni e campionesse possono essere una risorsa valida e diventare simboli educativi, paradigmi culturali importanti? Anche a questa domanda, la risposta è si. Vi do la mia parola, sono qui a lottare con voi, per i bambini che hanno bisogno di nuovi eroi, di nuovi esempi sportivi da guardare in tv, di nuove storie da ascoltare in classe.

La boxe è un libro aperto
Dopo essere entrati un una palestra di boxe che avete cercato con cura ve lo prometto ne uscirete con qualcosa che vi scuote dentro, come un profumo mai sentito prima che non se ne va dalla pelle. Come un mistero incomprensibile che a un certo punto vi farà dire: domani voglio andare ancora a scoprire che cosa ho visto. Forse non lo comprenderete fino in fondo, ma un magnetismo animale vi farà ritornare. Siamo determinati dal tempo, dagli anni che ci spettano e dall’amore che proviamo e riceviamo dagli altri: la boxe non esiste senza un sacco a cui dare colpi, senza un avversario da battere dentro un tempo stabilito ben preciso, e senza la misura della lotta un pugile non esiste. L’amore per sé stessi o la ricerca di questo amore è ciò che muove un pugile sul quadrato. La boxe essendo uno sport da contatto non fa dimenticare a chi la pratica che la nostra carnalità custodisce emozioni indimenticabili. Sono qui a testimoniare che questo può valere anche per chi la guarda. La sua messa in scena sul ring, ci ricorda che siamo vivi più che mai e per gli anni che stiamo vivendo, travolti dalla pandemia, da guerre vicine ai nostri confini, ricordare il valore della vita, celebrarla e lottare per essa è una legge di natura che la boxe ha nel suo DNA, ed è una legge che dovremmo fare nostra. La boxe è davvero un libro aperto, non si mostra mai diversamente da quello che è: una metafora della vita che racconta la storia di tutti noi.

Perché sei qui
Mi è stata fatta più volte questa domanda. Spesso mi chiedono da dove provenga l’amore verso il pugilato, perché sia impegnata a divulgarne la sua storia e la risposta è sempre: perché voglio ridare al pugilato quello che mi da dato e lo posso fare tenendo una penna in mano.

I PUGILI
Devo,
sono angeli caduti dal cielo.
L’anatomia del tempo
sulle scapole alate,
è ora di restituire
quello che ci hanno dato
in anni o in millisecondi
Alle corde gli uomini sono
Chiamate il nostro nome.
(Ai miei simili)

La scrittura è uno specchio di verità, apre le porte a quel viaggio interiore di cui ogni scrittore ha estremo bisogno per alimentare la sua forza, per essere sincero con la sua generazione dandogli qualcosa in cambio. Le parole di Katherine Dunn ogni volta che mi trovo a bordo ring mi vengono a cercare, entrano prepotenti nel torace: «É un privilegio vestire i panni della cronista per l’arte pugilistica. I boxeur, maschi e femmine, si battono sotto il calore delle luci bianche mentre io me ne sto seduta comoda al buio a fare commenti. Grazie a loro, da qui riesco a vedere intere galassie».
Ringrazio lei e tutti coloro che hanno scritto prima di me di pugilato, che mi hanno permesso di essere qui, ed usare la penna come la migliore arma al mondo per combattere i pregiudizi che ancora si trovano vicini alla conoscenza di questo sport che da millenni è chiamata: la dolce arte del colpire.

Fine dell’articolo
Autrice: Federica Guglielmini
Cura: Alessandro Ardigò

Licenza Creative Commons
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