1. Introduzione
Cedere e altre cose dette d’amore è la seconda opera letteraria di Alessandro Ardigò, pubblicata nel febbraio 2022 per i tipi di Eretica Edizioni, dopo l’uscita di Prosimetro Moderno nel 2020 con il medesimo editore.
Il volume è impreziosito dagli scatti in bianco e nero del fotografo veronese Eugenio Tonoli. Parola scritta e immagini incrementano la sensazione che le singole poesie siano istantanee, attimi di esistenza solo apparentemente sconnessi tra loro, ma in realtà tasselli – pezzi – di un invisibile mosaico più grande: la nostra vita.
Cedere e altre cose dette d’amore è suddivisa in sette sezioni, ciascuna con un numero variabile di composizioni ed incentrata su una tematica distinta; eppure, tutte le 79 poesie contenute nell’antologia sono indissolubilmente collegate da una storia, dal racconto del vissuto personale dell’autore che è al tempo stesso il resoconto delle esperienze, dei momenti e dei sentimenti di tutti noi.

2. Le sezioni
Come detto in precedenza, Cedere e altre cose dette d’amore è composto da sette sezioni, apparentemente indipendenti ma legate tra di loro dal fil rouge di una storia personale e collettiva al tempo stesso.
La prima parte, Il Piacere, raccoglie undici poesie incentrate sulla sensazione di appagamento evocata dal titolo. Tuttavia, il sentimento di godimento qui descritto si presenta sotto molteplici aspetti: il piacere che scaturisce dal comporre e dal sentire l’arte poetica (poesie n° 1, n° 6, n° 7 e n° 10), oppure il piacere suscitato dal suono della natura tra i momenti silenti dell’esistenza, lontano dal vociare della società contemporanea (poesie n° 2, 3, 4, 5 e 8), o ancora il piacere che nasce dal desiderio di raggiungere e comprendere l’infinito spaziale e temporale (poesie n° 9 e 11).
A Il Piacere seguono le ventisei poesie del capitolo Amorose: la felicità dell’innamoramento ed il desiderio sessuale, tratteggiati in quattro composizioni iniziali della sezione (nn° 12, 13, 15, 16), lasciano presto il passo all’incomprensione e alla difficoltà di capire l’altro e capirsi in una relazione affettiva (nn° 14, 19, 20, 21, 22 e 23), alla separazione posteriore (poesie n° 25, 26, 28, 34 e 36), ed infine al dolore dell’assenza della donna amata, all’impossibilità di dimenticare, all’incapacità di vivere nuovamente fuori dalla zona d’ombra (nn° 17, 18, 24, 27, 29, 30, 31, 32, 33 e 35).
L’assenza della persona amata, pensiero ricorrente nelle ultime poesie in Amorose, riaffiora in Visioni, terzo capitolo dell’opera, formato da quattordici poesie. L’assenza dell’altro viene ora ad assumere un nuovo significato, vale a dire la fine delle esperienze umane e della vita. Così, l’amore infelice e ormai passato si configura come metafora dell’angoscia esistenziale, dell’impossibilità di fuggire al passo del tempo, alla morte, all’oblio. Infatti, in queste poesie si susseguono immagini di panico (poesie n° 37 e 46), di attesa della dipartita (nn° 38, 43, 50), di fuoco e cenere (n° 39), di acqua e ghiaccio (nn° 40, 41, 49), di sangue (nn° 42, 48). Tuttavia, queste immagini non sono che visioni oniriche di un possibile futuro, generate dalla paura di qualcosa di incomprensibile ed inspiegabile, dall’inconscio dell’individuo, dall’influenza di sostanze psicogene, o semplicemente dall’osservare e dal contemplare la natura (in particolar modo la Luna), lontana ed incurante dell’umanità.
Ed è proprio dalla natura, distante ma sublime, indifferente ma pura, che prendono ispirazione le cinque poesie in Elementari, la quarta sezione del libro. Si riparte, quindi, dagli elementi naturali, così misteriosi per l’individuo ma semplici nella propria essenza, scevri del moralismo della società, della dicotomia bene-male, dell’ossessione del tempus fugit. Pertanto, la natura, attraverso percezioni sensoriali, è in grado di riportarci ad una dimensione primordiale, ad un sentire presente (poesie n° 51, 52, 53), ad un accoglimento elementare di noi stessi (nn° 54, 55).
Tuttavia, l’incalzare incessante del progresso scientifico e tecnologico, troppo spesso in grado di sopraffare l’individuo e di separarlo dal mondo naturale per riconnetterlo successivamente ad un sistema di relazioni incentrate principalmente sulla virtualità, ritorna come protagonista nelle otto composizioni della quinta sezione dell’opera, Pianeta Coma. Nell’epoca della modernità, infatti, in cui ricerca personale e piacere della scoperta lasciano spazio all’immediatezza ed all’automatizzazione di conoscenza ed esperienza, la difficoltà di dialogare con il proprio Io genera la scissione tra il soggetto e la società post-industriale (poesie n° 56, 57, 59), inducendo l’individuo ad entrare in uno stato di coma emozionale (n° 60), dove la nostalgia della perdita del sentire interiore (nn°58, 61) potrebbe risvegliare la persona dal torpore contemporaneo, a patto di morire e ritornare alla vita memore di un lontano passato felice (nn° 62, 63).
Il cammino di rinascita spirituale e di ridefinizione dell’identità, però, è irto di accidenti, di imprevisti, di incontri, di scelte, di eventi: le undici poesie di Pezzi, sesta sezione di Cedere e altre cose dette d’amore, testimoniano la difficoltà dell’individuo di ricostruire la storia personale, di mettere insieme i pezzi della propria esistenza, per dar voce alla soggettività interiore, che altro non è che un tassello di una grande storia universale. Dunque, l’essere umano si ritrova a fare i conti con le proprie interpretazioni della realtà (nn° 64, 71), con lo spauracchio del giudizio dell’altro (nn° 65, 66, 67, 70), con i paradigmi della società contemporanea (68, 69, 72, 73), per poter infine scoprire che il suo vissuto, il suo racconto, la sua storia, è parte di un tempo in moto permanente (n°74).
Così, in Ritorno, ultima sezione del libro contenente cinque composizioni poetiche, la vita dell’individuo e la storia naturale ed universale si intrecciano, nell’intento di dare significato all’esistenza ed al sentire del soggetto: le percezioni e le sensazioni dell’uomo aprono la porta ad una realtà intima e preziosa nel momento presente (nn° 75, 76, 77), eppure frammentaria in relazione al fluire continuo ed incessante del Tempo (nn° 78, 79).




3. Cromatismi
Come scritto precedentemente, le 79 poesie di Cedere e altre cose dette d’amore appaiono come immagini di momenti distinti, in grado di acquisire significato solo se propriamente accostate per ricostruire il grande quadro della vita dell’individuo.
E nella realizzazione del dipinto dell’esistenza non si può fare a meno di preparare prontamente la tavolozza dei colori del sentire interiore e dell’esperire personale, in continua relazione con la realtà esteriore.
Pertanto, le varie sezioni del libro si tingono gradualmente di colorazioni e sfumature differenti, simboli di un particolare stato d’animo o di una fugace idea sul divenire.
Inizialmente, infatti, nella sezione Il Piacere i protagonisti sono i colori primari: l’azzurro del mare (nn°3, 11) o del cielo (nn° 4, 6), ed il giallo delle ginestre (n° 3) o del sole (4, 8), veicolano l’idea di un contatto idilliaco con la natura, di una sensazione di appagamento interiore.
Tuttavia, la luminosità dipinta in Il Piacere lascia presto spazio ai toni scuri in Amorose e in Visioni: l’angoscia della perdita della persona amata, la nostalgia dell’assenza, il timore della propria fine, sono avvolte dal nero opprimente della notte (poesie n°12, 17, 18, 22, 28, 29, 31, 40, 47), preceduto spesso dal rosso sangue del tramonto (nn° 14, 39, 42), dall’affievolirsi della luce diurna o artificiale (nn° 12, 14, 18, 19, 43, 50), dall’apparizione delle ombre (nn°14, 50), in netta contrapposizione con il blu del lenzuolo (17) o del cielo terso (38, 39). La sola luce che permane nell’oscurità è quella della Luna fredda (n°40) e diafana (n° 47).
In seguito, il contrasto tra natura ed industrializzazione viene ulteriormente alimentato dall’accostamento di colori secondari, che assumono diverse accezioni nelle due sezioni dell’opera Elementari e Pianeta Coma: il verde della fogliolina (n° 51), della ranocchia e dell’erboso fossato (n° 52), simbolo della forza della natura, in grado di riemergere tra le rovine della società post-capitalista, è però anche il verde asettico della tendina della sala operatoria (n° 60); il bianco rigenerante del gelsomino (n° 53) è lo stesso colore del vuoto dele geometrie celesti (n° 58); il rosso-violaceo del cielo estivo (n° 54) rappresenta al tempo stesso il sangue umano che scorre (n° 57) fino a lasciare esanime la persona; la trasparenza della gocciolina d’acqua (n° 51) o della pioggia primaverile (n° 52) si trasforma nel grigio anonimo della città, delle sue strade e dei suoi parapetti (n° 56).
Infine, le parti conclusive del libro, Pezzi e Ritorno, perdono progressivamente l’intensa carica cromatica delle sezioni precedenti, per lasciar spazio a riflessioni di carattere storico ed universale: la presenza del colore si riduce ora al rosso del fuoco che brucia la storia della civiltà agricola (n° 69) o del calore che porta alla distruzione delle illusioni umane (n° 78).
4. Il Tempo
Al pari del ruolo di primo piano assunto dal colore, il Tempo è un elemento centrale in Cedere e altre cose dette d’amore.
Fin dalla prima sezione, Il Piacere, si delineano due dimensioni temporali: il tempo della natura ed il tempo umano. E fin dall’inizio si comprende la subordinazione dello scorrere della vita umana al continuum universale: “Nelle sere d’estate/esse (rondini nere) coprono voci umane” (poesia n° 2), “le parole si spengono nell’aria” (n° 5), “vagano i pensieri nel vento/per l’infinito esterno” (n° 9), “la schiuma e la morte … si sciolgono al tempo/delle maree” (n° 11).
L’individuo è inconsciamente consapevole della fugacità dell’esistenza (“Scomparirà tutto assieme a me”, n° 33; “-io penso-/cresceranno fiori d’acqua sul mio volto”, n° 49), eppure si aggrappa con forza ai ricordi di un nostalgico passato (“Un lenzuolo blu è steso è lo stesso di quando ero bambino”, n° 17; “Ritornano pezzi da quel fondo. Come se un lembo di mare/il grande mare dell’essere /solo a brani/li depositi sulla riva”, n° 31), pur di sfuggire alla morte, nell’illusione dell’eternità (“pensando a niente, a null’altro/se non ad un momento eterno/un presente a cui ne segue un altro”, n° 38; “porta in sé una malinconia originaria … /-ancestrale-/di totem preistorico”, n° 48; “quest’ansia/mi lega alla vita”, n° 62).
Tuttavia, l’eternità è prerogativa della natura: il ritorno costante delle stagioni mette in scena la forza dei fenomeni e delle manifestazioni caratterizzanti le varie fasi del tempo ciclico dell’universo, e al tempo stesso rimarca la piccolezza dell’uomo, della cui sorte Madre Natura è completamente indifferente (“Oh, sublime natura/delle vite nostra unica Signora/noi che crediamo d’esser stati liberi”, n° 54; “La primavera sorride/e non si ricorda di nulla”, n° 55), in continua ricerca di dare significato alla propria esistenza (“Quando, sul primo albore, l’odoroso/fiore lenirà quest’animo livido?”, n° 53; “sentiva/il desiderio che accadesse/- d’un tratto – qualcosa di bello/un’increspatura dell’universo/una testimonianza d’amore/del cosmo nei suoi confronti”, n° 61).
Infine, nelle ultime due sezioni dell’opera, Pezzi e Ritorno, la dicotomia tempo lineare/tempo ciclico si palesa in tutta la sua intensità: dalla contrapposizione “onda-sua storia (n° 64)”, all’illusione “del tempo/che sia qualcosa di materiale/che si muova su una linea” (n° 74), alla funzione salvifica dell’arte che “non si sovrappone/alla vita esattamente./Vi si intreccia,/e poi si sposta continuamente” (n° 79). E all’essere umano non resta che abbracciare il momento presente, l’istante che “rende pensabile il tempo” (n° 75).
5. Riferimenti
Cedere è altre cose dette d’amore è una raccolta di poesie in cui l’attenzione alla ricercatezza linguistica e l’instancabile attività di sperimentazione stilistica rendono l’opera spontanea ed originale.
Eppure, all’interno dei 79 pezzi non mancano citazioni o riferimenti ai maestri della letteratura mondiale, così come alla cultura popolare.
Infatti, fin dal titolo si può scorgere l’influenza di Dante, ricordando il Detto d’Amore di dantesca memoria. L’Alighieri resta un richiamo costante negli scritti dell’Ardigò (come era stato per il primo libro pubblicato, Prosimetro Moderno) e non mancano allusioni ai grandi poeti italiani e stranieri.
A tal proposito, si possono cogliere tra le varie poesie rimandi a Giovanni Pascoli (“fanciullo”, n° 3; “vaghi uccelli leggeri…-neri-“, n° 9; “il gelsomino”, n° 53; “Anch’egli battuto dal medesimo vento/nostro padre”, n° 54), a Giacomo Leopardi (“ginestre”, n° 3; “Sempre volge il mio pensiero”, n° 30; ”Luna”, nn° 40, 45, 47; “sublime natura”, n° 54), a Giuseppe Ungaretti (“non dire”, n° 10; “in sonno, nella veglia”, n° 34), ad Eugenio Montale (“Pezzi portati a riva/dalle correnti”, n° 36), a Gabriele D’Annunzio (Il Piacere), a Gianni Rodari (“Gocciolina gocciolina/che stai sull’ultima punta/dell’estrema fogliolina”, n° 51).
Inoltre, la presenza di influenze di letterature straniere impreziosisce il livello connotativo dell’opera: della letteratura spagnola si ritrovano citazioni a Gustavo Adolfo Bécquer (“rondini nere”, n° 2; “una presenza ignota/ferma sembra osservi/con occhi vitrei/fissamente”, n° 44), a Juan Ramón Jiménez (“In questo frammento di tempo sono io,/la prima persona singolare”, n° 63), a Manuel Rivas (“sul cuore delle farfalle”, n° 15), a La vida es sueño di Calderón de la Barca (“Il giorno dello svelamento,/del disincanto”, n° 78), o ancora possiamo scorgere allusioni a Bertol Brecht (“Aviatore”, n° 37), allo haiku giapponese (Poema 18), al Vangelo secondo Matteo (con la voce aramaica “Raca”, n° 64).
Infine, di rimandi alla cultura popolare sono arricchite varie composizioni poetiche, in particolare di riferimenti al gruppo musicale aretino Baustelle (“puro azzurro”, n° 4; “l’amore e la violenza”, n° 28; “amico caro”, n° 68).




6. Conclusioni
La novità di Cedere ed altre cose dette d’amore consiste dunque nell’audacia e nella volontà dell’autore di intersecare, senza mai sovrapporre, tradizione poetica, cultura popolare, sperimentazione metrica e stilistica.
Le influenze letterarie del passato e del presente, infatti, non tarpano le ali all’estro artistico di Alessandro Ardigò, in grado di giocare con differenti registri linguistici, diverse tipologie testuali, e svariati espedienti retorici.
A tal proposito, nonostante la predominanza del verso poetico, in alcuni componimenti si dà spazio al dialogo (nn° 14, 19) o al monologo interiore (nn° 17, 59), oppure si accostano metriche distinte (in particolar modo nella sezione Amorose), si omette la punteggiatura (n° 76), si ricorre allo spazio bianco (n° 75).
Ad ogni modo, il punto massimo di originalità si percepisce chiaramente nella combinazione di figure retoriche, intercalate in contesti reali in cui natura ed industrializzazione sono in netta contrapposizione, ed in cui i significati propri dell’arte poetica sarebbero indecifrabili se non abbracciassimo la realtà naturale e ci liberassimo dall’illusione di poter controllare il tempo.
Gli elementi della natura, infatti, si distinguono per la musicalità (“garrito di rondini nere”, n° 2), mentre la società post-industriale è un vociare, una ripetizione anonima di parole (“tendina”, n° 60; “ansia”, n° 62). Le allitterazioni piacevoli all’udito (dei suoni f, v, s, l) delle poesie inerenti al mondo naturale lasciano spazio così ai suoni duri dell’era contemporanea (t, p, k, m, n), le sinestesie dell’universo (“muro sonoro”, n° 2; “tramonto fiorito”, n° 42; “muggito cieco”, n° 46) si dileguano lentamente per far apparire giochi linguistici della contemporaneità (“perizia psichiatrica…perso il pensiero”, n° 68; “me…meh”, n° 72).
Cedere e altre cose dette d’amore è dunque un mondo racchiuso in un’opera poetica, uno sguardo al passato personale che è anche passato di tutti noi, una riflessione sul qui ed ora, una luce sul futuro, per scoprire le verità universali e le illusioni contemporanee, e riscoprirsi nuovamente.




Fine dell’articolo
Autore: Valentino Valitutti
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