fbpx

Donne invisibili – Come i manuali di Letteratura ignorano il contributo femminile (PRIMA PARTE)

Il merito delle donne
“Il merito delle donne” della scrittrice Moderata Fonte (1555-1592). Nell’immagine di copertina Grazia Deledda (1871-1936).

1. Donne dimenticate: alcuni esempi storici dell’obliterazione del femminile.
È noto che il femminile di dottore sarebbe dottrice, ma che la forma dottoressa si è imposta, per analogia con professoressa, termine attestato nell’Ottocento. Il suffisso –essa, dal greco -issa, era già utilizzato nella bassa latinità per termini come abbatissa e diaconissa, poi abbatessa e diaconessa. Nel Medioevo, però, veniva usato in maniera dispregiativa: vinessa (da cui poi vinaccia) indica il vino cattivo, libressa un cattivo libro. Si pensi anche alla figura semileggendaria della Papessa Giovanna (diffusa dal V sec.). La commedia Le Docteur Femme di Guillaume-Hyacinthe Bougeant (1690-1743) viene tradotta da Orazio Albano La femmina dottoressa ovvero la teologia ridotta alla conocchia. Il Vocabolario della Crusca (dalla prima edizione del 1612 alla quarta del 1738), citando Boccaccio, parla del femminile in –essa come “voce per lo più usata in baia, ed in ischerzo, come Dottoressa, Medichessa, e simili, non essendo questi regolarmente gradi, nè uficj da donna”. Il termine medichessa, in particolare, è definito “sempre dispregiativo”. Medica è attestato in letteratura (si pensi a Tasso “Tu chi sei, medica mia pietosa?”, Gerusalemme liberata, XIX, 114) ma nell’Ottocento l’uso è ormai estinto. Questo perché donne medico non sono esistite “ufficialmente” fino al Diciannovesimo secolo.
Le mediche, però, esistevano, operavano e riscuotevano rispetto da ben prima di Ernestina Paper (la prima italiana a laurearsi in Medicina e chirurgia nel 1877, seguita da Maria Farné Velleda nel 1878 e Maria Montessori nel 1896). Trotula de Ruggiero (1050-1097 circa) è la più nota (si fa per dire!) tra le donne della Scuola Medica Salernitana (le mulieres Salernitanae). Autrice di trattati sulle malattie femminili, dei quali uno, stampato da Aldo Manuzio nel 1544, segna la nascita dell’ostetricia e della ginecologia (De Ruggiero, 2014 e 2020). I critici hanno messo in discussione la sua esistenza. Green, ad esempio, sostiene che dietro il nome Trotula, usato per il corpus di testi su salute e cosmesi femminile, non ci sia una singola donna ma un gruppo di donne che praticavano la medicina. Anche qualora fosse confermata la tesi dell’inesistenza di Trotula come persona reale, la presenza di donne in funzione medica non è oggetto di discussione. Oltre alle mediche salernitane, Vidimura, attiva el XIV sec. a Palermo, è stata la prima donna ufficialmente autorizzata a praticare la chirurgia. Come conferma un recente studio di Sharon Strocchia (Harvard) nella prima età moderna le donne raggiungevano alti livelli di specializzazione nelle professioni mediche dando anche un grande contributo al progresso scientifico e tecnologico. La loro presenza, tuttavia, è stata dimenticata dalla storia ufficiale. Non a caso, l’interessante volume di Strocchia si intitola Forgotten healers, ‘Guaritrici dimenticate’ (Strocchia, 2019).
La tendenza (maschile) a instillare dubbi sulla reale presenza storica di donne in ruoli considerati virili (di cui si forniranno altri esempi in seguito) altro non è che una forma di damnatio memoriae del lavoro femminile.

Le donne e il loro contributo intellettuale e professionale vengono costantemente dimenticati, se non addirittura cancellati dalle storie ufficiali.
In Women and Power: a manifesto (London Review of Books, 2018), la classicista Mary Beard (Cambridge), parla dell’obliterazione delle donne e del silenziamento della voce femminile. Beard parte dell’esempio di Telemaco che impone il silenzio a Penelope (in Odissea, I, 325-64), definito the first recorded example of a man telling a woman to ‘shut up’ (‘la prima occorrenza registrata di uomo che dice a una donna di stare zitta’), per arrivare alle variazioni contemporanee sul tema.
Nel suo recente e molto discusso saggio, Caroline Criado Perez presenta un catalogo di esempi di obliterazione del femminile in una varietà di settori. Il titolo Invisible Women: exposing data bias in a world designed for men (Vintage, 2019), nella traduzione italiana Invisibili: come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano (Einaudi, 2019), parla da sé. Criado Perez, infatti, mostra, “dati alla mano”, come anche di fronte alle evidenze le donne vengano ignorate sull’unica base del pregiudizio di genere. Nel 2017, ad esempio, l’esame del DNA ha confermato che lo scheletro vichingo noto come “Guerriero di Birka” apparteneva a una donna. Il dato era già più che evidente dalla misura delle ossa del bacino, ma la prova scientifica è stata completamente ignorata sulla sola base del pregiudizio culturale che associa il mestiere delle armi al sesso maschile. Simile destino hanno avuto le tombe Scizie in Ucrania e Asia Centrale: appartenenti a guerriere nel 37% dei casi, e le pitture rupestri preistoriche, di mano femminile in un gran numero di casi, ma inevitabilmente attribuite agli omologhi maschili.

2. Ascoltare e leggere le donne. Cambiare la narrativa
Criado Perez sostiene che l’assenza delle donne, la mancanza di dati (data gap) che le riguardano, non è premeditata né intenzionale. Al contrario: è il prodotto di un modo di pensare, o meglio di non pensare, del non pensare alle donne. L’omissione del femminile è causa e conseguenza del vedere l’umanità come quasi esclusivamente maschile:

(the data gap […] is not generally malicious, or even deliberate. Quite the opposite. It is simply the product of a way of thinking that has been around for millennia […] is both cause and consequence of this type of unthinking that conceives the humanity as almost exclusively male pp. XXII-XV).

Allo stesso modo, il fatto che potere e autorità, siano essi politici, economici o culturali, siano visti come principalmente maschili è motivo e conseguenza della scarsa presenza femminile nelle stanze del potere. Il Global Gender Gap Report 2020 ne dà ampia testimonianza.
Solo 7 atenei italiani, su un totale di 82, hanno una rettrice (dati Crui). Nonostante la maggioranza femminile tra laureati e dottori di ricerca, e nonostante siano donne la metà dei titolari di assegni di ricerca (Grade D), sono donne solo il 46,6% dei ricercatori (Grade C), il 36,5% dei professori associati (Grade B) e solo il 23% dei professori ordinari (Grade A) (dati Miur e SheFigures 2018).

Una rapida analisi di un campione di programmi d’esame di letteratura italiana disponibili online rivela che solo una sparuta minoranza contempla le letterate. I manuali di storia letteraria più usati ignorano completamente le autrici (Alfano et alii, 2018; Bonazzi et alii, 2018; Ferroni, 2012). Le donne, dunque, sono una presenza minoritaria nelle università. Le autrici (come questo lavoro dimostrerà) non vengono lette e studiate. Non stupisce quindi che i e le docenti delle scuole secondarie, così formati, non le conoscano, né che i curatori e le curatrici di manuali scolastici le ignorino.
L’EIGE (European Institute for Gender Equality) fa notare che l’assenza delle donne dalle stanze del potere industriale, finanziario o politico, porta prodotti, servizi e politiche imperfette.

(“viewpoints, experiences and needs of half the population risk being overlooked or dismissed. This in turn leads to products, services and policies that are less than optimal because they are targeted at and serve only a proportion of society” EIGE, 2019, p. 7).

Allo stesso modo l’assenza delle autrici dai programmi universitari, che va di pari passo con una minore presenza accademica femminile, produce manuali storicamente inaccurati, che omettono una parte rilevante della produzione letteraria sulla sola base del genere.

L’introduzione delle quote di genere ha portato a cambiamenti sostanziali in tempi relativamente brevi (tra il 2005 e il 2018 la presenza di donne è passata da 0 al 30% nei consigli direttivi e dall’11 al 34% nei parlamenti EIGE, 2019) ed è stato dimostrato che una maggior inclusione di genere porterebbe ad un aumento del PIL tra il 6 e il 9% (EU Commission, 2020).
Allo stesso modo l’inclusione delle donne nei programmi di studio porterà a manuali più storicamente accurati. Il dare un posto, una voce e la giusta attenzione alle donne e al loro contributo professionale e intellettuale, quindi, non è unicamente una questione di giustizia sociale, ma di accuratezza accademica e convenienza sociale ed economica.
Parafrasando Beard se i giornali, i media e i libri non raccontano le donne vanno rinnovati (If women are not perceived to be fully within the structures of power, surely it is power that we need to redefine rather than women, Beard, p. 83)
Le donne vanno raccontate, incluse nella narrativa del potere, della scienza, della storia, delle arti, della produzione. Le donne vanno rese visibili. Compito che spetterà, innanzitutto alla lingua, che dovrà abbracciare la differenza femminile, poi all’informazione in tutte le sue forme, dal mercato editoriale, al giornalismo, ai social media, e, non ultimo, all’istruzione.

3. Donne, letteratura e libri di testo. I numeri dell’invisibilità.
Il maschile è considerato default, non marcato. Quando si dice “uomo”, spesso si intende o si pensa di intendere ‘essere umano’. Nella maggior parte dei casi, però, quando si sente “uomo” non si pensa ‘essere umano’ o ‘persona’, ma a ‘maschio’. Se, in teoria “scrittori” dovrebbe significare ‘scrittori e scrittrici’, quando si parla di “scrittori” non ci si riferisce all’insieme delle scrittrici e degli scrittori, ma ai soli autori maschi. Criado Perez cita almeno una ventina di studi linguistici che dimostrano come il maschile non marcato o maschile inclusivo (il maschile plurale usato per un gruppo di donne e uomini) venga in realtà percepito come maschile (si vedano poi anche Sabatini, 1987; Gianna Marcato, Eva Maria Thüne, 2002; Sapegno, 2010; Robustelli, 2012; Somma e Maestri, 2020). I manuali di grammatica, consapevolmente o meno, rinforzano questa idea: i nomi maschili dominano gli esempi, così come dominano i personaggi maschili nei libri di storia (Criado Perez, 2019) e come si vuole qui mostrare, in quelli di letteratura.
Eppure l’equità nei libri di testo è possibile. Lo dimostra Nove Passi, un corso di lingua italiana per stranieri a livello A1 elaborato dal Centro Linguistico dei Poli Scientifico-Didattici della Romagna (Cliro) dell’Università di Bologna “creato con un approccio attento all’identità di genere” (Businaro, 2010). In questo corso la presenza femminile e maschile, sia a livello testuale che visivo è quantitativamente e qualitativamente paritaria: ugual numero di personaggi, niente maschile non marcato, femminile delle professioni, termini inclusivi (“le studentesse e gli studenti/le e gli studenti”), abolizione degli stereotipi di genere (“il papà veste Carlo e lo accompagna a scuola”, “Hai visto Enrico […]? So che è in congedo parentale”, “la moto di Luisa è molto potente”).
Obiettivo parità”, invece è un progetto curato da Irene Biemmi e volto a contrastare stereotipi e diseguaglianze in ambito didattico. Attraverso la scelta antologica, le attività, il linguaggio usati nei testi per la scuola primaria, Biemmi propone una rappresentazione equilibrata e variegata dei generi femminili e maschili. Un altro esempio di equità è il secondo volume dell’antologia per la scuola secondaria di primo grado, Cacciatori di stelle (Bandini, Lombardo, Piloni, Rigamonti, Zurini, La Nuova Italia, 2020), in cui le autrici sono il 60%.

Nel 1998, nel quadro del piano d’azione europeo per le pari opportunità che coinvolgeva Italia, Spagna e Portogallo, l’Associazione Italiana Editori (AIE) ha sottoscritto il progetto POLITE (Pari Opportunità nei Libri di Testo). L’iniziativa comprendeva una ricerca sulle azioni di promozione dell’eguaglianza di genere attuate a livello di libri di testo nei vari paesi e la redazione di un Codice di Autoregolamentazione per gli editori, con delle linee guida per il superamento degli stereotipi di genere. Le indicazioni sono piuttosto generiche e invitano gli editori a prestare “attenzione allo sviluppo dell’identità di genere”, “verificare l’idoneità [dei testi] a soddisfare, anche sotto il profilo dell’identità di genere e dello sviluppo di una cultura delle pari opportunità”, e “promuovere la sensibilità e l’attenzione culturale di autori ed autrici anche nella direzione dell’identità di genere”. Alla luce di quanto esposto finora e nel seguito di questo articolo si lascia alle lettrici e ai lettori il compito trarre le conclusioni sull’efficacia di tale progetto.
Il 13 ottobre 2020 è stata presentata una proposta di legge sulla “promozione della diversità e dell’inclusione nei libri scolastici” che propone “l’istituzione di un osservatorio nazionale” (Fusacchia, Muroni, Quartapelle, Procopio, Boldrini, Carbonaro, Lattanzio, Palazzotto, Proposta di legge 2634, 6 agosto 2020).

Rappresentazione di Santa Domitilla, dell'autrice e drammaturga Antonia Pulci (1452-1501)
Rappresentazione di Santa Domitilla, dell’autrice e drammaturga Antonia Pulci (1452-1501). Immagine di pubblico dominio. Link: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Pulci_-_Rappresentazione_di_santa_Domitilla,_circa_1495_-_2446411.jpg

Oltre a questi progetti, cosa accade nei libri di testo attualmente in uso?
Il genere nei manuali e sussidiari per la scuola primaria è oggetto di studio dagli anni Settanta, a partire dai lavori di Elena Gianini Belotti (1973 e 1978). In anni più recenti, l’analisi effettuata da Irene Biemmi (2015, cui si rimanda anche per la bibliografia) su 340 storie per bambini conferma la tesi dell’invisibilità femminile e del diverso trattamento dei personaggi a seconda del genere. Le storie, infatti, hanno un protagonista maschile nel 59% dei casi, i maschi sono descritti con un’aggettivazione che ne enfatizza il coraggio, la forza e l’intelligenza, mentre le femmine sono per lo più considerate per la loro bellezza (che appare come fattore determinante, spesso associata alla bontà e positività del personaggio), gentilezza, timidezza; sono rappresentate in ambienti chiusi (57% dei casi) e con ruoli marginali. Le donne adulte sono unicamente mogli e madri che passano a casa la maggior parte del loro tempo. Le donne che lavorano o non amano i bambini vengono inevitabilmente criticate. Se non mancano modelli anticonvenzionali di comportamento per bambine e ragazze (come l’avventurosa Pippi Calzelunghe) questi non sono ammessi per le donne (simili conclusioni raggiungono Corsini e Scierri, 2016).
Eppure fare meglio è possibile. Lo dimostra il ben noto Storie delle buonanotte per bambine ribelli di Francesca Cavallo ed Elena Favilli (Mondadori, 2016; seguito dal vol. 2 del 2019 e da altri). Altri esempi di best practice sono le proposte di Settenove, come Greta e le altre. Un pianeta da salvare, di Fulvia Degl’Innocenti e Francesca Rizzato o La strana storia di Cappuccetto Blu di Guia Risari e Clémence Pollet. O quelle di EDT, che annoverano Amelia che sapeva volare, di Mara Dal Corso e Daniela Volpari o Il trattore della nonna di Anselmo Roveda.

La visibilità delle donne è un fattore determinante, come confermato da un recente studio del Geena Davis Institute on Gender in Media e Plan International (2019). Le interviste a 10.000 bambine e ragazze di 19 paesi suggeriscono infatti che le giovani hanno bisogno di vedere più donne in posizioni di autorità. Se la maggior parte delle intervistate sogna di raggiungere una posizione di leadership (76%) e crede di averne il potenziale (62%), sessismo, stereotipi e discriminazione di genere sono per loro barriere reali (“deep rooted stereotypes and widespread discrimination influence and shape girls’ ambitions, limiting their sense of what is possible and appropriate” p. 8).
Per superare le restrizioni e le aspettative che le circondano fin dalla nascita, bambine e giovani donne hanno bisogno di modelli da imitare, di esperienze di leadership femminile (“crucially girls need role models and leadership experience: governments, corporations and civil society organisations must encourage female leaders and mentors. Only then will they be able to transcend the restrictions of the gender expectations which surround them from birth […]. The visibility of women in powerful positions is […] an important factor”, p. 5, 9).
La presenza di donne in posizione di autorità che possano fungere da modello determina una maggiore predisposizione delle giovani donne ad aspirare a loro volta a posizioni di leadership (“girls with women leaders as role models in their community and in media are more likely to aspire to a leadership position in their community, their country and their career”, p. 19).
Tra le raccomandazioni finali del rapporto vi è una riforma di scuole e libri di testo. L’invito ai ministeri dell’istruzione è quello di eliminare pregiudizi e discriminazione di genere dai sistemi educativi e ad assicurarsi che i materiali didattici siano non-discriminatori, sensibili a questioni di genere, inclusivi e che non rinforzino stereotipi di genere e modelli stereotipati di autorità (“Education ministries must remove any gender bias and discrimination within and across education systems, ensuring that learning materials are non-discriminatory, gender sensitive, inclusive and do not reinforce gender stereotyping around leadership roles and styles. Governments should undertake a gender review of their curricula, textbooks and games, accompanied by teacher training and supervision” p. 29).
La visibilità delle donne nei testi scolastici è quindi la questione fondamentale.
La domanda da porci è dunque quanta visibilità danno alle donne i nostri programmi e i nostri libri di testo? Quanto e come le raccontano?

Vediamo cosa succede nelle antologie per la scuola secondaria di primo grado.
Il piccolo campione di 6 volumi qui analizzato traccia un quadro leggermente più rassicurante di quello emerso dalle analisi dei testi per la primaria.
Ecco le percentuali di autrici antologizzate (media dei tre volumi):

  1. La scala dei sogni, a cura di Giulia Pellegrini e Claudia Ghezzi (Atlas, 2017): 54%
  2. Perché le parole, a cura di Maria Concetta Sclafani, Giulia Pellegrini, Claudia Ghezzi (Atlas, 2020): 49%.
  3. Cercatori di stelle, a cura di Emanuela Bandini, Giovanna Lombardo, Rita Piloni, Maria Paola Rigamonti, Eleanna Zurini (La Nuova Italia, 2020): 45% (il 60% nel vol. 2)
  4. Come scintille, a cura di Anna Pellizzi e Valeria Novembri (Mondadori, 2018): 40%
  5. Giovani lettori. Dai generi letterari ai temi di attualità, a cura di Alessia Corti, Andrea Tullio Canobbio, Davide Morosinotto, Anna Rossato, Maurizia Franzini (Garzanti, 2018): 36%
  6. Nuovo Amicolibro. Classici e altre storie, a cura di Chiara Ferri, Luca Mattei, Vittoria Calvani (Mondadori, 2018): 35%

Le percentuali, tuttavia, scendono drammaticamente nei volumi dedicati alla letteratura, mostrando come la produzione letteraria sia ancora considerata un feudo maschile (si vedano gli approfondimenti più avanti).

  1. Nuovo Amicolibro: 13,04%
  2. Giovani lettori: 10%
  3. Come scintille: 8,89%
  4. La scala dei sogni: 8%
  5. Perché le parole: 6,67%
  6. Cercatori di stelle: 5,88%

Nei manuali per il biennio delle scuole superiori, la presenza femminile scende, con un’ulteriore diminuzione nei volumi concentrati su poesia e teatro.

  1. Beatrice Galli, Maria Letizia Quinzio, Felici approdi, Mondadori, 2016
    1. 1, La prosa: autrici 36,92%
    2. 2, La poesia e il teatro: autrici 17,80%
  2. Beatrice Panebianco,Sara Frigato, Caterina Bubba, Roberto Cardia, Antonella Varani, Limpida meraviglia, Zanichelli, 2020
    1. 1, Narrativa: autrici 30,14%
    2. 2, Poesia e Teatro con Letteratura delle origini: autrici: 26,67%
  3. Marzia Fontana, Laura Forte, Maria Teresa Talice, Una vita da lettori, Zanichelli, 2018
    1. 1, Narrativa: autrici 27,90%
    2. 2, Poesia e teatro con letteratura delle origini: autrici 10,52%
  4. Natale Perego, Elisabetta Ghislanzoni, Silvia Morsan, Un libro sogna, Zanichelli, 2019
    1. 1, Narrativa, attualità, epica classica: autrici: 24,61%
    2. 2, Poesia e Teatro e: autrici: 10,14%
  5. Giuseppe Iannaccone, Mauro Novelli, L’emozione della lettura, Giunti, 2018
    1. A Narrativa: autrici 23,37%
    2. B. Poesia e Teatro: autrici 14,92%
  6. Alessandro Baricco e Scuola Holden, La seconda luna, Zanicchelli, 2018
    1. Leggere 1: autrici 9,43%
    2. Leggere 2: autrici 15%
    3. Narrare: autrici 9,09% (media volumi 11,17%)
  7. Margerita Sboarina, Francesco Sboarina, Le occasioni, Hoepli, 2019
    1. 1, Il mondo antico: Epica, Poesia, Teatro, Prosa: autrici 8,51%
    2. 2, Dal Medioevo a oggi: Epica, Poesia, Teatro, Prosa: autrici 17,47% (media dei due volumi 12,99%)
    3. 3, Best seller, best reader: grandi successi Young Adult: autrici 50%

Nei libri di testo per il triennio della scuola superiore, poi la quota di autrici crolla:

  1. La vita dei testi, a cura di Floriana Calitti, Zanichelli, 2015
    1. 1.1: 29 autori, 0 autrici
    2. 1.2: 50 autori, 2 autrici (Gaspara Stampa e Vittoria Colonna, entrambe presenti nell’espansione online) pari al 4%.
    3. 2.1: 39 autori, 0 autrici
    4. 2.2: 38 autori, 2 autrici (de Staël e Austen) pari al 5,26%.
    5. 3.1: 45 autori e 2 autrici (Maria Luisa Spaziani e Natalia Ginzburg, citate però come traduttrici) pari al 4,44% (media dei 5 volumi 2,74%)
  1. Con altri occhi, Comprendere, analizzare, argomentare, a cura di Guido Armellini, Adriano ColomboLuigi Bosi, Matteo Marchesini, Zanichelli, 2019
    1. Duecento e Trecento: 37 autori e 4 autrici (Caterina da Siena, Compiuta Donzella, Angela da Foligno, Contessa di Dia) pari al 10,81%.
    2. Quattrocento e Cinquecento: 45 autori, 4 autrici (Gaspara Stampa, Veronica Franco, Vittoria Colonna, Maria Bellonci) pari all’8,89%.
    3. Seicento e Settecento: 78 autori, 3 autrici (Teresa d’Avila, Madame de La Fayette, Faustina Maratti Zappi) pari al 3,84%.
    4. Ottocento: 57 autori, 6 autrici (madame De Staël, Jane Austen, Olympe de Gouges, George Eliot alias Mary Ann Evans, Charlotte Brontë, Caterina Percoto) pari al 10,52%
    5. Ottocento e Novecento: 53 autori, 4 autrici (Emily Dickinson, Contessa Lara, Matilde Serao, Carolina Invernizio) cioè il 7,54%
    6. Novecento, 149 autori e 17 autrici pari all’11,40% (media dei 6 volumi 8,83%)
  1. Classici nostri contemporanei, a cura d Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti, Giuseppe Zaccaria (Pearson, 2019),
    1. Medioevo e Rinascimento: 75 autori, 2 autrici (Caterina da Siena e Gaspara Stampa) pari al 2,66%.
    2. Barocco e Romanticismo: 83 autori, 1 autrice (Madame de Staël) pari all’1,20%.
    3. Ottocento e Novecento: 48 autori e 3 autrici (Aleramo e Deledda, con Melania G. Mazzucco citata in un esercizio di confronto testuale), pari al 6,25%
    4. Novecento: 101 autori e 8 autrici (Woolf, Rosselli, Merini, Cavalli, Murgia, Morante, Mazzucco, Ferrante) pari al 7,92% (media dei 4 volumi 4,5%)
  1. Roberto Carnero, Giuseppe Iannaccone, Il tesoro della letteratura, Giunti-Treccani, 2019
    1. Dalle origini al Cinquecento: 64 autori, 2 autrici (Gaspara Stampa, Isabella Morra) pari al 3,12%.
    2. Dal Seicento al primo Ottocento: 51 autori, 1 autrice (de Staël), pari all’1,96%
    3. Dal secondo Ottocento a oggi: 98 autori, 8 autrici (Serao, Ortese, Woolf, Deledda, Arendt, Morante, Ballestra, Merini), pari allo 8,16% (media dei 3 volumi 4,41%)
  1. Stefano Prandi, La vita immaginata. Storia e Testi della Letteratura Italiana, Mondadori, 2019
    1. 1A, Dalle origini al Trecento: 24 autori, 1 autrice (Woolf), pari al 4,16%.
    2. 1B, Quattrocento e Cinquecento: 33 autori, 4 autrici (Gaspara Stampa, Isabella Morra, Vittoria Colonna, Veronica Franco) pari al 12,12%.
    3. 2A, Seicento e Settecento: 45 autori, 0 autrici
    4. 2B Il primo Ottocento: 40 autori, 4 autrici (de Staël, Austen, E. Brontë, Morante), 10%
    5. 3A Il secondo Ottocento e il primo Novecento: 51 autori, 2 autrici (Deledda, Woolf), 3,92%
    6. 3B, Dal Novecento a oggi: 75 autori, 7 autrici (Lalla Romano, Annamaria Ortese, Elsa Morante, Amelia Rosselli, Igiaba Scego, Alda Merini, Antonella Anedda) 9,33% (media volumi 6,58%)

Anche considerando il numero di studiose contro quello di studiosi citati in veste di critici la situazione resta preoccupante:

  1. Stefano Prandi, La vita immaginata. Storia e Testi della Letteratura Italiana, Mondadori, 2019
    1. 1A, Dalle origini al Trecento: 8 critici, 1 critica (Teodolinda Barolini) 12,5%.
    2. 1B, Quattrocento e Cinquecento: 8 critici, 0 critiche.
    3. 2A, Seicento e Settecento: 11 critici, 0 critiche.
    4. 2B Il primo Ottocento: 7 critici, 1 critica (Giovanna Rosa) 14,28%
    5. 3A Il secondo Ottocento e il primo Novecento: 19 critici, 0 critiche
    6. 3B, Dal Novecento a oggi: 13 critici, 3 critiche (Adele Dei, Carla Benedetti, Lene Weege Petersen) 23,07% (media volumi 8,30%)
  1. La vita dei testi, a cura di Floriana Calitti, Zanichelli, 2015
    1. 1.1: 21 critici e 4 critiche (Arianna Punzi, Maria Corti, Lucia Battaglia Ricci, Rosanna Bettarini), pari al 19,05%
    2. nel vol. 1.2, 26 critici e 2 critiche (Antonia Tissoni-Benvenuti, Maria Serena Sapegno), pari al 7,69%.
    3. 2.1: 6 critici, 0 critiche
    4. 2.2: 12 critici, 1 critica (Natalia Ginzburg) pari all’8,33%.
    5. 3.1: 16 critici, 1 critica (Daniela Goldini), pari al 6,25% (media volumi 8,26%)
  1. Roberto Carnero, Giuseppe Iannaccone, Il tesoro della letteratura, Giunti-Treccani, 2019
    1. Dalle origini al Cinquecento: 10 critici, 0 critiche
    2. Dal Seicento al primo Ottocento: 10 critici, 0 critiche
    3. Dal secondo Ottocento a oggi: 12 critici, 3 critiche (Annamaria Andreoli, Niva Lorenzini, Giusi Baldissone), pari al 16,66% (media volumi 5,55%)
  1. Classici nostri contemporanei, a cura di Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti, Giuseppe Zaccaria, Pearson, 2019
    1. Medioevo e Rinascimento: 29 critici, 0 critiche
    2. Barocco e Romanticismo: 19 critici, 0 critiche
    3. Ottocento e Novecento: 23 critici, 0 critiche
    4. Novecento: 10 critici, 1 critica (Carla Benedetti), pari al 10% (media volumi 2,5%)
  1. Con altri occhi, Comprendere, analizzare, argomentare, a cura di Guido Armellini, Adriano ColomboLuigi Bosi, Matteo Marchesini (Zanichelli, 2019)
    1. Duecento e Trecento: 12 critici, 0 critiche
    2. Quattrocento e Cinquecento: 12 critici 0 critiche
    3. Seicento e Settecento: 10 critici, 0 critiche
    4. Ottocento: 10 critici a 0 critiche
    5. Ottocento e Novecento: 12 critici, 0 critiche
    6. Novecento: 18 critici, 0 critiche

I dati mostrano tre tendenze:

  1. la graduale diminuzione della presenza femminile man mano che si procede verso i livelli più alti dell’istruzione.
  2. una presenza drasticamente minoritaria di autrici nei volumi dedicati alla letteratura, in particolare a poesia e teatro, che dimostra l’esclusione delle donne dal canone, testimoniata anche dall’assenza delle autrici come oggetto di studio nei corsi e nei manuali universitari.
  3. una presenza minoritaria di studiose citate in veste di critiche, dato ancor più preoccupante poiché suggerisce una scarsa considerazione o conoscenza del contributo femminile alla ricerca.

1. La presenza femminile è tutto sommato paritaria (43%) nelle antologie per la scuola secondaria di primo grado. Il numero di autrici scende a una media del 20% nei manuali per il biennio, per crollare al 2-8% nei manuali per il triennio ed arrivare a zero nei manuali universitari. Numeri che riflettono i modelli di segregazione verticale che caratterizzano la scuola e l’Università italiane. Secondo il Censis (2018), infatti, se le donne rappresentano l’81,7% del personale docente, si passa dal 96,1% nella scuola primaria, al 77,2% nella scuola secondaria di primo grado, al 65% nella secondaria di secondo grado. A livello universitario, nonostante la maggioranza femminile tra laureati e dottori di ricerca, e nonostante le donne siano il 50,3% dei titolari assegni di ricerca (Grade D), sono donne solo il 46,6% dei ricercatori (Grade C), il 36,5% dei professori associati (Grade B) e solo il 23% dei professori ordinari (Grade A) (Miur e SheFigures 2018). Se nel 2018 le donne erano il 69% dei dirigenti scolastici (Censis, 2019), con percentuali che sfiorano il 100% nelle scuole d’infanzia e primarie, si scende al 72,2% nella secondaria di primo grado e al 65% nella secondaria di secondo grado, all’8,53% dei rettori, solo 7 su 82 università italiane, infatti, hanno una rettrice (Crui). Tendenza confermata, a livello globale, anche dal Global Educational Monitoring Report 2019 (p. 30).

2. Fra i manuali qui analizzati, se nei libri per la secondaria di primo grado, le autrici rappresentano mediamente il 43%, la percentuale scende a circa il 9% se si considerano (all’interno degli stessi testi per la scuola media) i volumi dedicati alla letteratura. Nei manuali per il biennio, le autrici sono mediamente il 24% nei volumi che si concentrano sulla narrativa ma solo 16% circa in quelli dedicati a poesia e teatro e scendono ulteriormente nei manuali per il triennio. Dati che dimostrano come la letteratura sia ancora percepita come maschile, ma che mostrano anche una scarsa conoscenza del contributo letterario delle donne. Nei manuali per il triennio focalizzati sulla storia della letteratura, le autrici non superano il 6% nei volumi dedicati a medioevo e Rinascimento. Questo, nonostante il picco di attività letteraria femminile nel Quattro-Cinquecento sia un dato storico ampiamente dimostrato, nonostante la vasta bibliografia e l’ampio numero di opere di scrittrici medievali e rinascimentali disponibili in edizione moderna (solo per citarne alcune Caterina da Siena, 1347-80; Christine de Pizan, 1364-1430 ca; Isotta Nogarola, 1418-66; Lucrezia Tornabuoni 1427-82; Antonia Pulci 1452/54 -1501; Cassandra Fedele, 1465 ca.-1558; Vittoria Colonna, 1492-1547; Giulia Bigolina, 1518-69; Isabella Morra, 1520 ca.-1545 ca.; Gaspara Stampa, 1523-1554; Veronica Franco, 1546-1591; Moderata Fonte, 1555–1592; Isabella Andreini, 1562-1604; Maddalena Campiglia 1553-1595). Circa duecento donne italiane pubblicarono opere nel corso del Cinquecento; in Francia, nello stesso periodo le autrici pubblicate furono circa trenta, venti in Germania, diciassette in Inghilterra, tredici in Spagna e Portogallo, tre nei Paesi Bassi (Cox, 2011, p. 165). Le autrici sono circa l’1,4% nei volumi sul Sei-Settecento, dato che non stupisce per uno dei periodi storici meno conosciuti della storia letteraria Italiana (ma in cui non mancano figure femminili di rilievo, come Lucrezia Marinella, 1571-1653; Margherita Sarrocchi, 1560-1617 ca.; Arcangela Tarabotti, 1604-52; Margherita Costa, 1600 -1667). Stupiscono invece il 6,31% di autrici nei volumi su Ottocento e primo Novecento e l’8,25% nei volumi sulla letteratura contemporanea, periodi in cui la presenza e la rilevanza del contributo femminile non vanno certo provate. Già Croce, nel 1919, era stato costretto a riconoscere le letterate vista la sempre maggior diffusione della scrittura femminile (Croce, 1919, cit. in Crispino, 2019). In Storia letteraria del ’900 italiano, Massimiliano Capati parla della presenza femminile come “principale fenomeno della mutazione della scena letteraria del secondo Novecento” e spiega come “nell’ultimo quarto di secolo il numero delle scrittrici è divenuto pari a quello degli scrittori” sottolineando che “non era mai successo nella storia” e come “il dato quantitativo (ma è, per dirla in formula, quantità di qualità) descrive un cambiamento epocale” (p. 200). Peccato poi che Capati, nello stesso volume, citi in elenco 26 scrittrici senza approfondirne nessuna a eccezione di Elsa Morante (come nota Alberica Bazzoni ). Nel 2016, quando per la prima volta il Nobel per la Fisica è stato assegnato a una donna (la professoressa Donna Strickland), la scienziata Audrey Ruple ha twittato “per una donna è più facile ottenere un Nobel di un cattedra” (“it is easier for a woman to be awarded the Nobel Prize than become a Full Professor”). Il Nobel ottenuto nel 1926 non basta infatti a Grazia Deledda per avere un capitolo a lei dedicato nei libri testo in uso nelle scuole e nelle università italiane, nei quali di solito non le spetta più di un paragrafo o un breve testo, quando non è ignorata del tutto (compare solo in 2 dei 6 volumi per il triennio qui analizzati). Non è un caso (né un dato di cui andare fieri) che il Global Education Monitoring Report 2019 (nonostante si concentri per lo più su Asia e Africa), menzioni esplicitamente l’Italia come esempio di paese occidentale in cui “la scuola e l’università, raramente affrontano la questione dell’uguaglianza di genere; gli/le insegnanti non vengono formati in maniera sistematica, quindi difettano di una vera competenza [sulla problematica di genere]. La formazione dei/delle docenti e le iniziative sull’uguaglianza di genere sono per lo più lasciate all’interesse e all’impegno personali” (“In Italy, teacher education rarely addresses gender equality issues; teachers are not systematically trained and thus lack relevant competence. Teacher training and school initiatives on gender equality are mainly based on individual interests and commitments”, p. 37.). Non si vuole qui sostenere che siano, tantomeno che debbano essere, solo le donne a studiare le autrici, ma, come i dati dimostrano, la presenza minoritaria di donne ai livelli più alti dell’istruzione va di pari passo con l’assenza delle autrici come oggetto di studio. Assenza che, per parafrasare Criado Perez, è al contempo causa e conseguenza della scarsa conoscenza del contributo delle donne alla storia della letteratura italiana.

3. Se si considera poi che nei testi analizzati, le studiose sono, mediamente, solo il 5% dei critici citati, non si può che concludere che una scarsa conoscenza del contributo delle letterate si accompagni a una scarsa conoscenza del contributo delle studiose, una minore attenzione per il lavoro delle ricercatrici da parte del mondo accademico, a maggioranza maschile, che potrebbe addirittura far ipotizzare una scarsa fiducia nel lavoro femminile.

In altre parole le donne non si studiano, non si leggono, di loro e del loro lavoro intellettuale non si parla e non si scrive o non lo si fa abbastanza. Più in particolare, gli uomini non leggono le donne. I professori non leggono, o non leggono abbastanza le scrittrici, e non leggono, o non leggono abbastanza, i lavori delle loro colleghe.
Nel caso specifico della didattica della letteratura, lo scarso interesse per le autrici porta necessariamente a fornire ai/alle discenti un quadro parziale e fuorviante della storia letteraria italiana, rafforzando visioni stereotipate, mancando di promuovere una cultura della parità, soprattutto facendo passare alle e agli studenti il messaggio che esistano mestieri da uomini e mestieri da donne o aree della società e della produzione intellettuale in cui alle donne non spetta una voce.

La poetessa Christine de Pizan
La scrittrice Christine de Pizan (1365-1430)

4. Uscire dall’invisibilità. Come (ri)dare alle donne una voce e un posto nell’istruzione.
Non è solo chi scrive a vedere in questi dati un campanello d’allarme e a vedere la stringente necessità di una sistematica revisione dei testi scolastici.
Di revisione di programmi e materiali didattici, libri di testo e giochi parla il rapporto del Geena Davis Institute on Gender in Media, Plan International, Girls Get Equal, Taking the Lead. Girls and Young Women on Changing the Face of Leadership, 2019, menzionato in precedenza.
Così pure il già citato Gender Equality in Academia and Research tool (2016) elaborato da EIGE:

(“research and teaching often seem to disregard the important gender dimension in their approach, content and analysis. The result is that the viewpoints, experiences and needs of half the population risk being overlooked or dismissed. This in turn leads to products, services and policies that are less than optimal because they are targeted at and serve only a proportion of society”, p. 7). Il GEAR tool, incoraggia infatti a “1. favorire l’uguaglianza nelle carriere accademiche 2. assicurare un equilibrio di genere nelle nei processi e nelle aree decisionali 3. integrare una dimensione di genere nella ricerca e nei contenuti” (p. 8).

Il Global Education Monitoring Report 2019 di UNESCO indica come prioritaria una “riforma dei programmi e dei libri di testo mirata a eliminare il pregiudizio e gli stereotipi di genere” (“curriculum and textbook reforms to eliminate gender bias and stereotypes”, p. 40) e una formazione ricettiva verso questioni di genere per il corpo docente (“gender-responsive teacher education”, p. 40).
Il GEAR tool, sostiene che gli e le insegnanti, debitamente formati, debbano

“innescare il cambiamento mettendo in discussione lo status quo delle loro stesse organizzazioni e proponendo misure volte a promuovere un cambiamento strutturale” (“instigate change through debating the status quo of the organisation and proposing measures to promote structural change”, p. 10), “sensibilizzando [gli/le studenti] su questioni di genere in tutte le discipline e le aree di ricerca, insegnando e incoraggiando a integrare e applicare una prospettiva di genere nella loro ricerca. Gli e le studenti, infatti, diventeranno a loro volta insegnanti e ricercatori” (“raising their [students] awareness regarding gender-relevant issues in all disciplines and subject areas […] students also need to be encouraged and taught to integrate and apply a gender perspective to their research. Students may become teachers or researchers themselves. Raising students’ awareness and sensitivity about gender equality contributes to changing attitudes and behaviours in other spheres of their lives”, p. 10).

Un recente studio (Lewis e Lupyan, 2020) dimostra che la lingua ha un’influenza fondamentale nella formazione e perpetrazione degli stereotipi di genere (i risultati sono sintetizzati qui).
Se non è in nostro potere garantire l’equilibrio di genere nelle carriere accademiche e nelle aree decisionali, è certamente possibile, per noi insegnanti, operare un cambiamento nel linguaggio e nei contenuti.

Molto è stato detto, negli ultimi anni, sul linguaggio inclusivo, e molti passi sono stati fatti. Nei documenti del ministero e nelle comunicazioni ufficiali l’uso di espressioni inclusive (“alunne e alunni”, “studentesse e studenti/le e gli studenti”) è ormai, fortunatamente, una realtà; riconosciuta, per esempio, anche dal nuovo Messale Romano (CEI – Avvenire, 2020) che ha introdotto la forma inclusiva “fratelli e sorelle” al posto del maschile generico “fratelli” (“Confesso a Dio Onnipotente e a voi fratelli e sorelle”; “E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, santi, e voi, fratelli e sorelle” (il maschile universale sopravvive in “pace in terra agli uomini, amati dal Signore”, che sostituire “uomini di buona volontà”, Avvenire, 10 ottobre, 2020).
Ogni insegnante potrà lavorare in questa direzione, accertandosi di utilizzare in classe e di promuovere un linguaggio che dia alle e ai discenti un’idea chiara di pari dignità e pari accesso alle professioni.
Nonostante l’apparente banalità, al fine di rendere visibili alle studenti esempi di leadership femminile, sarà fondamentale sforzarsi di citare, nelle lezioni (di qualsiasi materia), personaggi di entrambi i sessi o affiancare a un personaggio famoso maschile un esempio femminile (“giornalisti come Giovanna Botteri”, “imprenditori e imprenditrici, ad esempio Emma Marcegaglia”, “premi Nobel come Grazia Deledda e Giosuè Carducci”), integrando i libri di testo laddove citino esclusivamente maschi, e magari spiegando questa scelta alla classe (“il vostro libro cita giustamente X, ma non dobbiamo dimenticare Y e Z”, “spesso i libri non menzionano i contributi femminili, ma è giusto ricordare…”). Sarà altrettanto importante assicurarsi di utilizzare nomi femminili negli esempi e negli esercizi (di qualsiasi materia, dai compiti di grammatica ai problemi di matematica), inserendo anche termini e espressioni che sfidano i tradizionali ruoli di genere (“Marta è elettricista”, “Lucio è maestro d’asilo”, “Marco è in congedo parentale”, “l’azienda ha assunto una camionista”, “la ricercatrice che ha isolato il virus Covid”, “la biochimica Rosalind Franklin”, “la scopritrice del virus HIV Françoise Barre-Sinoussi”, “la fisica Lise Meitner e i colleghi Otto Hahn e Otto Robert Frisch scoprirono la fissione nucleare” etc. Come accade nel corso di Italiano L2 Nove passi, citato in precedenza).

I suggerimenti offerti, nel lontano 1987, da Alma Sabatini, restano un punto di riferimento imprescindibile. In estrema sintesi e con esempi aggiornati (si vedano anche Robustelli, 2012 e 2018; MIUR, 2018; Somma e Maestri, 2019):

  1. evitare il maschile non marcato o universale, preferendo forme inclusive (gli alunni e le alunne, la classe, gli e le insegnanti, il corpo docente), evitando “l’uomo/gli uomini” in senso universale, come “popolazione” “genere umano”, preferendo “le persone” o perifrasi inclusive (“i diritti umani” invece de “i diritti dell’uomo”; evitando espressioni come “gli uomini della Guardia di Finanza” ma usando “gli uomini e le donne/gli e le agenti/il personale della Guardia di Finanza”).
  2. sostituire termini che fanno riferimento alla sola dimensione maschile come “fratellanza”, “paternità”, con termini neutri come “solidarietà” o che fanno riferimento al femminile come “maternità” in espressioni come “la maternità di un’idea/invenzione/opera”.
  3. evitare l’uso asimmetrico dell’articolo davanti a cognome (“Merkel, von der Leyen e Macron” e non “La Merkel la von der Leyen e Macron)
  4. evitare “signorina”, termine svuotato di senso in un mondo in cui lo stato civile di una donna non ha rilevanza nel definirla, e che non ha un corrispettivo maschile. Evitare anche “signora” quando può essere sostituito da un titolo professionale, che andrà a sua volta declinato al femminile (“la sindaca Appendino” o “la dottoressa Appendino” piuttosto che “la signora Appendino”). Il termine “signorina” è spesso usato per infantilizzare o sminuire le professioniste (si pensi ai tanti casi in cui, specialmente in televisione, un interlocutore maschio definisce “signorina” un’interlocutrice più giovane, ignorandone titoli e competenze e sminuendone il ruolo), va quindi evitato del tutto.

Le donne sono state troppo a lungo invisibili, non dobbiamo quindi nasconderle sotto titoli maschili (questa era la tendenza negli anni Ottanta, cui si opponeva Sabatini), dando l’idea che non esistano o non abbiamo voce in particolari ambiti. Al contrario, dobbiamo restituire alla donne la visibilità esplicitando il femminile, e volgendo al femminile i termini che si riferiscono a professioni, ruoli e funzioni (“esplicitazione del genere grammaticale per i termini che si riferiscono a esseri umani”, Robustelli, Linee guida, 2018, p. 19).

Per la formazione dei femminili si potranno seguire le indicazioni di Cecilia Robustelli

  • i maschili in -o, -aio/-ario fanno il femminile in -a, -aia/-aria (architetta, avvocata, chirurga, notaia, commissaria etc.)
  • -iere —> -iera
  • – sore —> -sora (assessora, difensora, revisora)
  • -tore —> -trice
  • non cambiano i termini in -e e le forme italianizzate di participi presenti latini, cambia solo l’articolo (la studente, la preside, la giudice; la dirigente, la docente, la rappresentante)
  • i nomi composti di “capo-” mantengono il prefisso invariato: la capo-redattrice, la capo-dipartimento (Robustelli, Linee guida, 2018, p. 18).

Rispetto alla materia qui in oggetto, la letteratura (ma le proposte che seguono possono certamente trovare un corrispettivo in altre discipline), è di vitale importanza smantellare l’idea che la letteratura non sia cosa da donne, che le donne non abbiano contribuito come autrici o studiose, sottolineando questo anche attraverso il linguaggio. A tal fine è cruciale parlare di “autori e autrici”, “scrittori e scrittrici”, “poeti e poete” (il suffisso -essa è storicamente denigratorio e spesso non necessario con parole terminanti in -e, come studente, vigile, giudice etc.. Se “poetessa” è maggiormente attestato perché in uso da secoli, il femminile “la poeta, le poete”, è da considerarsi corretto, derivante dal latino poeta, ae, della prima coniugazione cui appartengono i nomi femminili, per questo consigliato da Sabatini, Raccomandazioni, p. 118).

Vista la potenza del maschile non marcato, infatti, quando diciamo “scrittori” per riferirci a uomini e donne, la maggior parte delle persone associa il termine ai soli rappresentanti maschili della categoria (Criado Perez, 2019). Analogamente, quando si dice “scrittrice”, si tende a pensare alle sole scrittrici femmine, come gruppo a parte. Sabatini, infatti sconsiglia sia l’uso indistinto di “scrittore” per uomini e donne, che oblitera il femminile (“Marguerite Yourcenar è uno dei più grandi scrittori viventi”) sia l’uso di “scrittrice” che fa comparire le donne gruppo a parte (“è una delle più grandi scrittrici viventi”) ma consiglia la forma inclusiva: “Marguerite Yourcenar è una delle più grandi tra scrittrici e scrittori” (Sabatini, Raccomandazioni, p. 111).

Sabatini, infatti, ci metteva in guardia dalla tendenza a trattare le donne come gruppo separato (usa come esempio la frase: “questi popoli… si spostavano con le donne, i vecchi e i bambini… cercando regioni più fertili”, nelle quali il “popolo” è costituito dai solo maschi, mentre donne, vecchi e bambini rappresentano una parte separata, e chiaramente secondaria, Sabatini, Raccomandazioni, p. 105). Dobbiamo quindi accuratamente evitare, la tendenza, piuttosto diffusa nei manuali e nelle storie della letteratura, a trattare le scrittrici come una classe separata. Spesso autrici e poete sono inserite in riquadri separati dal corpo principale del testo (Antelmi, 2017), o in specifiche sezioni. Questa seconda prassi può avere senso per un periodo storico come il Cinquecento, in cui si è registrato un ingresso di massa delle donne sulla scena letteraria, e, in cui, secondo recenti interpretazioni, le autrici stesse si sentivano parte di una scuola (Cox, 2011). Parlare delle autrici come “scuola” o gruppo a parte in periodi della storia in cui ognuna rappresentava un’esperienza individuale (ad esempio intitolando un capitolo “Morante e le narratrici”), però, pare una forma di segregazione in base al sesso più che una classificazione basata su motivazioni storiche o letterarie. Va quindi rifiutata e rettificata ogni classificazione arbitraria, anche in questo caso spiegando le ragioni alla classe.

Per quanto concerne i contenuti, quindi la storia della letteratura e la scelta di testi da analizzare, si è parlato molto di una possibile riformulazione o estensione del canone letterario (o anche di un’abolizione del concetto stesso di canone) al fine di includere scrittrici e poete. Non si vuole qui entrare nel merito dell’annosa questione, si suggerisce però di abbandonare l’idea di scrittrici come presenze atipiche, eccentriche o straordinarie (come fuori dall’ordinario, dalla norma, dal canone). Se definire un’autrice “eccezionale” può suonare elogiativo, il termine, sottolineando il carattere di eccezione della scrittura femminile, non fa che confermare la regola della non appartenenza delle donne alla sfera letteraria.

Le autrici vanno semplicemente inserite nel loro contesto storico e citate come rappresentanti di un certo movimento culturale o genere letterario, accanto ai colleghi maschi.Trattando dell’Umanesimo, per esempio si possono nominare Isotta Nogarola, Laura Cereta e Cassandra Fedele, insieme agli umanisti “canonici” Bruni, Poliziano, Valla, Ficino. Parlando del genere epico-romanzesco si può affiancare al Furioso e alla Liberata il Floridoro di Moderata Fonte, evitando la ghettizzazione delle autrici in un riquadro separato, come variante meno preziosa dell’originale o eccezione (trascurabile) alla regola.

Tra i testi qui analizzati, infatti, Con altri occhi (Armellini, et alii, Zanicchelli, 2019), inserisce Caterina da Siena nel capitolo Letteratura religiosa insieme agli altri autori religiosi del periodo. Inserisce poi Compiuta Donzella nella sezione sulla poesia cortese toscana a fianco di Guittone d’Arezzo (vol. 1) e Gaspara Stampa nel capitolo sulla lirica petrarchista, con Bembo, Della Casa e Buonarroti (vol. 2). Analogamente, I classici nostri contemporanei (Baldi et alii, Pearson 2019) include Stampa tra i petrarchisti e Madame de Staël tra i romantici. Calitti, invece, in La vita dei testi (Zanichelli, 2015), relega le uniche due autrici, Stampa e Colonna, nell’espansione digitale del vol. 1.2; mentre La vita immaginata (Prandi et alii, Mondadori, 2019), nella sezione sul Rinascimento, intitola un capitolo La regola e l’eccezione. Pietro Bembo e altra lirica del Cinquecento, dove “l’altra lirica” è una sezione intitolata Le poetesse cinquecentesche, che comprende Stampa, Morra e Colonna, mentre a Buonarroti e Casa viene riservata una sezione separata che li definisce Due lirici indipendenti. Se pure, come già detto, le poete cinquecentesche hanno in effetti costituito, per molti aspetti, un gruppo, questi titoli sono troppo ambigui per non essere problematici.

Anna Maria Crispino osserva che un tempo l’istruzione “imponeva una trasmissione canonica e rigida attraverso l’uso dei “libri di testo”” oggi invece, grazie ai nuovi media, la conoscenza non è veicolata unicamente dai manuali scolastici (Crispino, Oltrecanone, p. 12) o dal solo canone. Come suggerisce Adriana Chemello, forse, nell’introdurre la letteratura italiana nelle nostre classi, dovremmo descriverla non tanto come “un patrimonio da trasmettere quando [come] un territorio da esplorare”. Più che procedere per aggiunte al canone tradizionale o tentare di smantellarlo o fondare un canone alternativo, Chemello invita piuttosto a sfruttare appieno le potenzialità della didattica modulare. “L’organizzazione curricolare o per “moduli””, infatti, è senz’altro la più “idonea a recepire una parallela revisione del canone per cui agli “autori di precetto” […] si possono sostituire e/o affiancare altre esperienze di lettura”. Il fine deve sempre essere quello di formare “buone lettrici e buoni lettori” (Chemello, in Oltrecanone, p. 59).

 Fine della PRIMA PARTE, a breve sarà disponibile anche la SECONDA PARTE
*La bibliografia sarà posta in coda alla SECONDA PARTE

Autrice: Marianna Orsi
Revisione e cura: Alessandro Ardigò, Mario Taccone

Quest’opera di RadiciDigitali.eu è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.


Grazie!

Se sei arrivato sin qui a leggere, significa che il progetto RadiciDigitali.eu ti piace.
Ecco, devi sapere che tutti gli autori sono volontari, scrivono e si impegnano per diffondere una cultura e una didattica di qualità, verticale – dalla scuola primaria all’Università – e di respiro europeo.
La gestione del sito e le pubblicazioni cartacee hanno però un costo che, se vuoi, puoi aiutarci a sostenere.

Sostienici >>

 

Informazioni sull'autore

2 commenti su “Donne invisibili – Come i manuali di Letteratura ignorano il contributo femminile (PRIMA PARTE)”

  1. Mi permetto di segnalare il mio libro, Tiziana Plebani, Le scritture delle donne in Europa. Pratiche quotidiane e ambizioni letterarie (secoli XIII-XX), Roma, Carocci, 2019, che affronta questi temi e riflette su oblio e cancellazione della presenza femminile

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Scroll to Top